Per la prima volta la compagnia teatrale dell’Unitre, “Pasino degli Eustachi”, si presenta sul prestigioso palcoscenico del Teatro Fraschini di Pavia: la cornice straordinaria è stata scelta per celebrare i 35 anni della Unitre cittadina e per dare modo a tutti gli associati di assistere allo spettacolo. L’invito è peraltro esteso a tutta la cittadinanza. Per avere qualche anteprima sullo spettacolo ho intervistato il regista. Romano di origine, pavese di adozione (ma da poco: si è trasferito qui nel 2016), Maurizio Fabi ha alle spalle una lunga esperienza di attore e una passione per il teatro che coltiva da sempre. Nell’Unitre di Pavia dirige da diversi anni la compagnia teatrale “Pasino degli Eustachi”, con la quale ha messo in scena varie opere di autori diversi. Questa volta ha ripreso un testo di Dino Buzzati: si tratta di Sette piani, racconto già messo in scena da Strehler col titolo Un caso clinico e portato sul grande schermo come Il fischio al naso, con l’interpretazione memorabile di Ugo Tognazzi. Fabi cortesemente mi dà appuntamento “davanti a una tazza di caffè” per rispondere alle mie domande sul suo ultimo lavoro.
D Posso sapere come è nata l’idea di mettere in scena questo famoso testo di Buzzati?
R Ho incominciato a pensarci seriamente durante la pandemia, nel 2020, ma era un’idea che avevo da tempo, perché Buzzati mi è sempre piaciuto. E rileggendo Sette piani ho pensato fosse il momento di metterlo in scena.
D Ma è partito dal racconto o dalla trasposizione teatrale?
R Ho tenuto conto di entrambi. Tra l’altro anche il testo teatrale è stato curato da Buzzati, quindi lo spirito è lo stesso, l’attesa che è alla base del racconto Sette piani rimane inalterata nella versione teatrale. L’uomo è vittima delle proprie illusioni e della ostinazione a negare la realtà della condizione umana, una ostinazione che lo consuma per tutta la vita, ed è insieme la ragione stessa dell’esistere. Concetto già espresso magistralmente da Guicciardini: “È certo gran cosa che tutti sappiamo avere a morire, tutti viviamo come se fussimo certi di avere sempre a vivere” (Ricordo 160). È l’anello che non tiene di Montale, la rotellina che esce dagli ingranaggi a cui allude la locandina, l’illusione di cui tutti sono alla disperata ricerca. Certo ho dovuto adattare entrambi i testi in base a una serie di esigenze di carattere artistico ma anche di tipo pratico, legate alla realtà della compagnia teatrale con cui lavoro, che è composta da cinque attrici e cinque attori.
D A proposito: che ruolo hanno attrici e attori nella elaborazione della messa in scena?
R La prima fase è esclusivamente di mia competenza: scelgo il testo e stendo il copione. Poi lo leggiamo insieme, più volte, perché tutti si impadroniscano dei contenuti. Infine discutiamo il testo, per chiarire la funzione dei singoli personaggi, le peculiarità di ognuno e le relazioni che esistono e si evolvono nel corso della storia. Da un lato il fatto di avere una “compagnia stabile”, che non può essere ampliata in base alle esigenze del testo, può apparire come un limite. Dall’altro, una volta adattato il testo al numero degli interpreti e alla presenza di un certo numero di uomini e donne, diventa una vera e propria sfida per ognuno di loro il fatto di calarsi in un personaggio che spesso è lontano dal loro modo di essere e di sentire, ma a cui riescono ad aderire fino a farlo proprio, a sentirlo parte di sé. È il teatro, “dove tutto è finto ma niente è falso”, come diceva Proietti.
D Dopo la discussione sul testo immagino ci sia la fase della memorizzazione. Suggerisce tecniche particolari in questa parte della preparazione?
R Ovviamente c’è lo studio della parte, che non è semplice e richiede una grossa applicazione. Molto si fa anche in scena, durante le prove: unire la battuta a un gesto, ad esempio, può facilitare la memoria, così come l’attaccarsi alla battuta precedente. Ma ci tengo soprattutto a sottolineare la bravura degli interpreti, che non hanno seguito nessuna scuola di teatro, nessun corso di recitazione, eppure arrivano a comunicare al pubblico quello che provano, riescono a trasmettere emozioni, e questo è un risultato straordinario, dovuto all’impegno che per mesi e mesi viene profuso da tutta la compagnia.
D Come mai questo titolo, diverso sia da quello del racconto, sia dalle trasposizioni teatrale e cinematografica?
R Il protagonista, Luigi Ponti nella mia commedia, è ossessionato dall’idea del settimo piano: è entrato nella clinica per una patologia leggera, e viene collocato all’ultimo, il settimo, appunto, che ospita i casi più lievi. Da lì vede una distesa verde di alberi, gli sembra di avere ancora un contatto diretto con il mondo di fuori, il mondo dei sani, e di poterci tornare se non immediatamente molto presto. Per una serie di casi si trova però ad essere trasferito più in basso, dove si trovano i malati “veri” e poi quelli seri, sempre più seri. Ma continuerà a proclamare con forza il proprio diritto al settimo piano, quasi non gli importasse tanto della malattia, quanto della percezione di sé come persona sana, che a tutti vuole ribadire la propria condizione: “Io dovrei stare al settimo piano, io! Al settimo!”
D Come ha colto la compagnia la scelta di questo testo?
R Attori e attrici non sono professionisti, ma sono estremamente impegnati e lavorano con passione. I due incontri settimanali possono essere pesanti, peraltro la partecipazione è costante. Hanno aderito alla proposta con entusiasmo, come sempre. Per loro è uno sforzo non da poco diventare ogni volta qualcuno di diverso, trasformarsi ad ogni rappresentazione in un uomo o una donna con esperienze, modo di esprimersi, di reagire e di atteggiarsi spesso lontani dalla loro natura e dalla loro mentalità. Solo la passione e il desiderio generoso di regalare al pubblico un testo nuovo sono alla base di tanto lavoro e tanto impegno. E nel recitare vivono e comunicano sensazioni, emozioni. Questo si augurano andando in scena: che al pubblico arrivino le emozioni che desiderano trasmettere. Nient’altro. Non si arriva alla fama, al successo recitando in una compagnia di dilettanti, ma si può avere la sensazione di aver trasmesso qualcosa, di aver comunicato dei pensieri e dei sentimenti, e questo è già di per sé un successo.
D Ci sono musiche ad accompagnare il testo?
R Sì, ho scelto brani musicali che amo particolarmente e che mi sembra contribuiscano a trasmettere il messaggio che vogliamo passare al pubblico. Il destino è incombente, pesa sulle nostre scelte, a volte le determina senza che noi possiamo intervenire. Questo però non ci impedisce, non deve impedirci, di vivere intensamente, di godere della vita, perché non sappiamo cosa ci sarà dopo, ma dobbiamo ricordarci che in fondo la vita è bella.
Ringrazio Maurizio Fabi per la sua disponibilità e la gentilezza con cui ha risposto alle mie domande. La rappresentazione avverrà
Lunedì 20 maggio al Teatro Fraschini alle ore 20.
A tutti l’invito ad assistere all’ultimo lavoro della compagnia teatrale dell’Unitre di Pavia! Ingresso libero.
Laura Marelli