La Nemesi della storia ha colpito ancora e duramente. Il contagio – a volte letale – si è disteso su tutto il pianeta e va mietendo appieno, tuttora, vittime. Epperò, perché la Nemesi? Ebbene, perché mai come nell’ultimo mezzo secolo l’uomo tanto intensamente – si vorrebbe dire “intensivamente” – ha abusato, nel profondo, della terra. E, dopo lunga sopportazione, la natura, col beneplacito di Baruch Spinoza, ha deciso di intervenire, nella duplice veste di “natura naturans” e “natura naturata”, mostrando al bipes humanus quanto le sia facile, nel batter d’un ciglio, farlo scomparire dal novero degli animali terrestri.
Odo già qualche lamento: “Non abbiamo alcuna prova scientifica che il dissesto (il disastro, melius) ambientale, a tutte le latitudini, abbia un ruolo cospicuo nel propagarsi della feroce epidemia diretta “urbi et orbi”. Si potrebbe agevolmente replicare che, se non abbiamo la prova positiva, men che meno abbiamo quella negativa. Se non è dimostrato che c’entri, ancor meno è dimostrato che non c’entri. Orbene, c’è qualcuno – magari un accigliato, ma garrulo frequentatore delle attuali “serate televisive” – che possa escludere, “juris et de jure”, una liaison, quanto meno in termini di – pur non dirimente, sia concesso – concausa, un nesso fra il morbo ed il pianeta ecologicamente moribondo? Non c’è. E, se ci fosse, sarebbe l’ennesimo, disperato caso di scienziato (?) accecato dalla superbia. Epperò Dante colloca i superbi nelle arche infuocate dell’inferno. Ecco Farinata: “0 Tosco che per la città del foco/vivo t’en vai, così parlando onesto/piacciati di restare in esto loco/ La tua loquela ti fa manifesto/…” Avremo noi la temerarietà di restare sordi alle innumeri reazioni delle natura – che passano inosservate – contro gli stupri quotidiani del geoambiente? Non potremo, non dovremo, non vorremo. E, dunque, viviamo la dimensione tragica del contagio non come una fatalità terribile, bensì come un quid di cui anche noi abbiamo colpa. E l’uomo può mai sopravvivere se si pone in contrasto, in lotta con la natura? No, non può. La crisi che sta devastando l’economia globale dovrebbe, deve condurci ad una riflessione epocale. Va ripensata la logica del profitto. È certo che sia consustanziale all’essere umano: dunque, non può essere espunta. Può, nondimeno, essere profondamente mutata, “contaminata” in termini virtuosi, tali da non offendere né la natura e neppure un senso d”umanità palpitante”.
Priva di siffatte connotazioni, la cultura del profitto si risolve nell’immagine dell’ “homo homini lupus”, nè è un caso che Tommaso Hobbes fosse cospicuo intenditor d’economia, oltre che filosofo d’alto livello.
“Oportet, tandem, ut nos vivamus vitam novam”, adottando modalità di coesistenza “secundum naturam”. E il contagio globale, paradossalmente ma non troppo, può costituire occasione storica, giacché noi, anche se inconsapevolmente, stiamo cambiando “dentro”, mentre fuori il mondo è già cambiato: rispetto a quello preCovid, quanto “mutatus ab illo!!
I filosofi della scienza già parlano – et pour cause – di una rivoluzione culturale dietro l’angolo. È così.
Le rivoluzioni, tuttavia, sono quasi sempre cruente. Ci sono, nondimeno, casi di rivoluzioni che, invece degli umani, massacrarono pregiudizi, falsi miti, idola fori, raggiungendo per tal via la distruzione di un mondo decrepito e degenerato: pensiamo alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, che avvenne per implosione “ab intrinseco”, talché le invasioni barbariche ne furono non già la causa, bensì la conseguenza.
E altrettanto avvenne, mille anni dopo, all’Impero Romano d’Oriente o Impero Bizantino. Questa volta, però, il parto della storia avvenne sui cannoni (assoluta novità bellica: 1453) di Maometto II° il Conquistatore, che espugnò le plurime fila che costituivano il complesso di mura (impressionante) di Costantinopoli, invitte nel millennio precedente. Anche in questo caso, il Conquistatore raccolse le vestigia di un impero decadente e corroso dall’interno.
E noi? Noi dovremo riformare un sistema capitalista, che mostra la corda da tempo, dopo aver assistito alla deflagrazione ed alla inevitabile morte dei sistemi comunisti.
È impresa da far tremar le vene e i polsi. I Keynesiani – non di rado con buona pace di John Maynard – hanno le loro ricette. E non manca chi si richiama ad Adamo Smith o ad Adorno, per offrire le proprie soluzioni prefabbricate.
Non è questa la strada. Non è la strada delle inflessibili leggi della economia, che ci porterà a salvamento in un mondo nuovo. L’economia – che non è una categoria aprioristica della ragione – andrà orientata e vissuta alla luce dell’imperativo categorico di Emanuele Kant (pur egli, come Hobbes, grande conoscitore delle scienze economiche, oltre che sommo filosofo): “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”.
Dott. Gustavo Cioppa (Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia, già Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)