Attualità
“Ma Gesù venne…”: l’editoriale del Vescovo Corrado Sanguineti sul S.Natale
L'articolo pubblicato sul numero de "il Ticino" di venerdì 19 dicembre 2025
Di Mons. Corrado Sanguineti (Vescovo di Pavia)
Come ogni anno, nel clima del Natale che si avvicina, avvertiamo ancora di più le contraddizioni e le fatiche che attraversano il nostro vissuto e quelle che caratterizzano il mondo di cui siamo parte. A Natale si fanno sentire di più la povertà e la solitudine, pane quotidiano di non poche famiglie e di molti anziani, il lavoro precario e sottopagato di tanti, le notizie che riportano fatti terribili di violenza con protagonisti giovani e giovanissimi, il continuo stillicidio di femminicidi. E poi le guerre che insanguinano la nostra terra: non c’è solo Gaza e l’Ucraina, c’è il Sudan, teatro di stragi terribili, nell’indifferenza del mondo, c’è Haiti, un’isola abbandonata all’arbitrio e alla violenza delle bande, ci sono nazioni in Africa che conoscono episodi di sistematica violenza soprattutto sui cristiani, come la Nigeria, il Burkina Faso, il Mali, anche qui nel silenzio sordo di troppi potenti.
E potremmo continuare nel triste elenco delle contraddizioni e delle ingiustizie che segnano il destino d’interi popoli, sacrificati agli interessi delle nazioni “sviluppate” e di un’economia che lascia indietro persone e comunità e aumenta, in modo scandaloso, le ineguaglianze nella distribuzione del reddito.
Anche quando nacque Gesù, più di duemila anni fa, in un’oscura provincia del grande impero di Roma, a Betlemme di Giudea, c’erano miserie e ingiustizie, violenze e guerre, forse più di oggi, c’era un sistema sociale ed economico fondato sulla schiavitù, c’erano forme di disprezzo e di umiliazione impressionanti: in fondo, non c’era ancora il senso dell’essere persona, come soggetto di inalienabili diritti e non si conosceva la carità come forma d’amore personale e sociale.
Eppure, Gesù venne, in un ambiente povero, deposto in una mangiatoia per animali, accolto da una giovane coppia di sposi e da un pugno di pastori, uomini rozzi e non molto profumati. Poi per trent’anni, abitò con la sua famiglia, nel villaggio di Nazaret, e, dopo l’incontro con il profeta Giovanni, iniziò a percorrere le vie della Galilea, della Samaria e della Giudea, fino a Gerusalemme, come un maestro originale, con un’autorità unica, con un’umanità straordinaria, con una sterminata capacità di chinarsi sulle miserie degli uomini. Così, intorno a questo maestro itinerante, si raccolse un gruppo di discepoli, uomini e donne, che lo seguivano, attratti da ciò che faceva e diceva, dal mistero che emanava, dalla presenza che era: fino ai giorni drammatici dell’arresto e della condanna a morte di Gesù, da parte delle autorità religiose e politiche, e fino al nuovo inizio, all’alba della Pasqua, alla nuova storia del maestro ora confessato come Signore risorto e vivente tra i suoi.
Così è nato il cristianesimo come un movimento di vita e di persone, in cui si è resa presente una speranza prima ignota, una possibilità di vivere mai immaginata, un bene che si è fatto strada, dentro le contraddizioni e il male, di ieri e di oggi, attraverso una realtà integralmente umana, com’è la Chiesa, nata dall’esperienza dei primi con Cristo: umana, perciò piena dei limiti e perfino dei peccati degli uomini che ne fanno parte, e allo stesso tempo capace di far crescere delle presenze così vere, così belle, così buone – come i santi di ogni tempo, noti e ignoti, come i testimoni del Vangelo di Gesù, spesso fino al martirio – da mostrare al mondo di essere portatrice di una luce e di una vita che possono provenire solo da Dio e non da semplici uomini.
Cristo è la compagnia di Dio agli uomini
Il Natale è l’inizio, discreto e apparentemente irrilevante, di questa presenza del Dio fatto uomo: Cristo è la compagnia di Dio agli uomini, di duemila anni fa e di oggi, ed è questa la più potente risposta al dramma del male che deturpa l’uomo e il mondo, oggi come duemila anni fa.
Come ha scritto il grande scrittore francese Charles Peguy che già agli inizi del Novecento aveva chiara la fine di un mondo, plasmato da secoli di tradizione cristiana, il mondo della “cristianità”, almeno in Europa: “Questo mondo moderno non è solamente un mondo di cattivo cristianesimo, questo non sarebbe nulla, ma un mondo incristiano, scristianizzato. C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a gemere e interpellare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. In un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo” (C. Peguy, Veronique).
Dopo Peguy, altri si resero conto della fine di questo mondo, molto prima di chi oggi dichiara, come se fosse una novità, che la cristianità è finita: Romano Guardini, il giovane docente di teologia Joseph Ratzinger, il prete ambrosiano Don Luigi Giussani, già nel dopoguerra, negli anni Cinquanta, quando le chiese e gli oratori erano ancora pieni di famiglie e di giovani, avevano avvertito l’imminente sbriciolarsi di un mondo.
Ma se è finita la “cristianità”, almeno a livello sociale e culturale, non è finito il cristianesimo, anche oggi c’è un’esperienza di vita, testimoniata dalla comunità cristiana, da famiglie, da adulti e giovani, in cui si rende presente la novità di Cristo, come un fatto umano, capace d’attrarre il cuore. Questo è il contributo più grande che possiamo portare al nostro mondo, così pieno di contraddizioni e così incerto sul suo futuro: vivere noi il cristianesimo, “fare” il cristianesimo, con Gesù, con la forza di una Presenza che non viene meno, anche nel 2025.
È il Natale dell’Anno Santo, Giubileo della speranza: Papa Leone lo chiuderà la mattina del prossimo 6 gennaio, festa dell’Epifania, noi, come in ogni diocesi, il pomeriggio di domenica 28 dicembre, festa della Santa Famiglia, con una celebrazione corale nel duomo di Pavia.
Finisce l’Anno Santo, con i suoi frutti e i suoi semi di grazia, deposti nei cuori: ma non finisce il cristianesimo, perché il Bambino nato a Betlemme in quella notte di luce è ormai il Vivente che sta con noi “tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).