Di Mons. Corrado Sanguineti (Vescovo di Pavia)
Il Natale è una festa che custodisce un fascino particolare: nonostante la crescente secolarizzazione e la trasformazione in qualcosa di molto generico e vago – festa della pace, della famiglia, della solidarietà – o in un grande rito commerciale, il mistero del bambino Gesù, al centro delle rappresentazioni artistiche e dei canti natalizi, continua a parlare, a portare un annuncio di speranza e di vita che rinasce. Quest’anno ricorrono ottocento anni da quando fu realizzato il primo presepe, nella notte del Natale 1223, nel piccolo borgo di Greccio, per desiderio di San Francesco d’Assisi e forse il modo migliore per riscoprire la verità e la bellezza del Natale è immedesimarci con lo sguardo di Francesco. Egli, in tutto quello che viveva e faceva, ha l’audacia di proporre il Vangelo “sine glossa”, senza troppe mediazioni, in modo semplice e diretto: un Vangelo, una lieta notizia offerta al cuore di ogni persona, che diventa provocazione per tutti, credenti e non credenti.
Da questo punto di vista, il Natale racchiude un mistero che affascina e scandalizza: affascina perché ci parla di un Dio che si fa così prossimo a noi, da diventare uno di noi, e scandalizza, perché va oltre ogni misura della nostra ragione, e sembra impossibile che l’Eterno, l’Assoluto scelga di farsi così presente all’uomo, assetato di felicità, ferito dalla sofferenza e dalla morte, essere che vive una contraddizione insanabile, una sproporzione ineliminabile tra il desiderio di pienezza e di vita, che lo abita, e l’esperienza drammatica del limite e del male.
Francesco era letteralmente rapito e incantato dall’evento della nascita di Gesù nella povertà di Betlemme, dal vertiginoso abbassamento di Dio che sceglie di condividere l’avventura dell’essere uomini, dalla nudità inerme di un bimbo nato e deposto in una mangiatoia, alla morte in croce.
Noi, invece, corriamo il rischio di non avvertire più lo stupore e lo scandalo del Natale, dell’avvenimento che la fede cristiana da duemila anni annuncia, testimoniato da innumerevoli santi e martiri, da generazioni di semplici cristiani, che ha plasmato la cultura e l’arte di secoli, in modo particolare nella nostra Italia, uno scrigno di bellezze artistiche senza paragoni.
Ricordare il primo presepe di Greccio e realizzare nelle case, nelle chiese e in tanti luoghi di vita il presepe, è una strada per ritrovare con il Santo d’Assisi il cuore del Natale e avvertire la meraviglia e la gioia di una presenza umana e divina, che da allora fa compagnia alla nostra esistenza e illumina di speranza la nostra storia, così convulsa, piena di tragedie e di oscurità, di violenza e di inumanità, anche nei nostri giorni.
«C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni … Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza … Il santo di Dio è lì estatico di fronte alla mangiatoia … Poi viene celebrato sulla mangiatoia il solenne rito della Messa» (“Vita prima”, 84-85). Francesco legge, come diacono, il Vangelo della nascita di Gesù, pieno di gioia nel pronunciare il nome di Gesù.
Il presepe nasce dal desiderio di un uomo, innamorato di Cristo, di vedere con gli occhi del corpo la la povertà in cui nasce il Figlio di Dio, l’umiltà di Dio che si fa presente in modo così concreto a noi uomini: una presenza che per il Santo si rinnova e continua nel segno dell’Eucaristia, dove Cristo pane vivo si fa nutrimento, nel volto dei poveri, dei lebbrosi e dei malati, di cui si prende cura con i suoi frati, nel corpo della Chiesa, anche con le sue ombre e le miserie che l’appesantivano. Eppure Francesco ha sempre amato la Chiesa, i sacerdoti, anche quelli indegni, il suo vescovo, il Papa e ha voluto che la famiglia dei suoi frati vivesse in comunione e in obbedienza alla santa madre Chiesa, sposa di Cristo.
Così, San Francesco, nel Natale di quest’anno, segnato dalla memoria di Greccio e purtroppo dalle ombre di guerra e di violenza che insanguinano il mondo, anche la Terra Santa dove Gesù è nato, ci riporta al cuore della festa, a ritrovare lo stupore della fede, a riconoscere che dalla Notte Santa di Betlemme, non siamo più soli, che davvero Cristo è il “Dio con noi”, presenza viva nell’Eucaristia – la mangiatoia oggi è l’altare su cui discende il Verbo incarnato nel pane spezzato – nella carne sofferente dei poveri, da accogliere, condividendo qualcosa della nostra e della loro vita, e nella comunità cristiana, corpo vivo del Signore, suo popolo nella storia.
Allora sì, sarà un Natale pieno e ricco, allora sì, vale la pena augurarci “buon Natale!”.