di Michela Ravetti
(Responsabile di unità della Casa del Giovane di Pavia)
“La Chiesa e la Comunità hanno bisogno di scelte profetiche, capaci di passare attraverso i conflitti e, come bocca di Dio, aprire nuovi orizzonti e sentieri all’umanità… Con il coraggio e la costanza degli umili dobbiamo ridare speranza ai poveri e credibilità alla Chiesa”. Così scriveva don Enzo Boschetti più di 40 anni fa. Oggi sembra di vivere in un’altra era rispetto ad allora, ma andando in profondità, guardando oltre alle vicende e vicissitudini del nostro tempo, riconosciamo dentro di noi la stessa esigenza di profondità. Rispondere ai bisogni immediati della gente è difficoltoso, ma ancor più difficile è rispondere alle esigenze nascoste nel cuore delle persone, delle quali spesso essi stessi non sono pienamente consapevoli. Forse è proprio a questo livello che si pone la situazione migratoria che da anni è emersa con prepotenza nel nostro Paese. Dopo i fatti drammatici avvenuti a Cutro a febbraio, abbiamo assistito all’ennesima tragedia avvenuta al largo delle coste della Grecia il mese scorso: centinaia di persone hanno perso la vita e, tra loro, decine di bambini ammassati in una stiva. Mi ritorna alla mente l’immagine di quella donna, afghana, che in un gesto di disperata speranza, porgeva uno dei suoi piccoli nelle mani di un militare perché lo portasse in salvo. Era lo stesso cuore di madre, la stessa intenzione di salvezza, che aveva fatto salire quei figli su quella barca al largo del Peloponneso. Forse erano cuori ingannati, forse erano madri ingenue… ma il desiderio disperato di speranza era lo stesso, il grido di aiuto, di un futuro migliore, di benessere, era lo stesso. E mi chiedo allora perché non si ascolti questo grido che ormai da anni risuona e rimbomba nelle nostre coscienze. Che siano forse troppo arroccate per saperlo ascoltare? E si continua a parlare di “emergenza” migranti, quando sappiamo molto bene che non è più un’emergenza, ma è la realtà di un mondo che si muove, che cerca, libertà e sviluppo dignitoso. Questa situazione è semplicemente la conseguenza di ciò che per secoli abbiamo noi stessi causato, con discriminazioni, sfruttamenti e scelte miopi. Non è un “emergenza”, ma è consapevolezza di tanti; è finalmente rifiutare situazioni politiche, sociali ed economiche che penalizzano i più deboli, che non rispettano i diritti fondamentali delle persone che non hanno il necessario per vivere e per curarsi. Nemmeno noi possiamo più accettare che solo una parte del mondo, una piccola parte del mondo, detenga le risorse del pianeta a suo uso e consumo, quando sappiamo che la Terra potrebbe dare risorse e benessere per tutti.
“Non possiamo più accettare…”
Non possiamo più accettare che, in moltissime parti del mondo, non siano disponibili per tutti e senza difficoltà alcuni farmaci di base, come per esempio gli antibiotici, mentre la medicina in occidente è così avanzata da far discutere quali siano le scelte morali adeguate. “Emergenza” migranti? Direi che si tratta di “emergenza egoismo”, che rimpalla le responsabilità e i doveri, che non parte da un pensiero di inclusione e non governa strutturalmente e senza rischi la migrazione in atto, che lascia morire, chi vuole un futuro diverso per sé e la propria famiglia, in mare o lungo il cammino dei Balcani o nelle proprie terre di origine, organizzando accordi per trattenerli in patria. Un individualismo di interessi che non decreta leggi per l’integrazione, per l’apprendimento della lingua italiana, per la formazione e per l’occupazione lavorativa, che non pensa come accogliere al meglio queste persone rispondendo alle loro esigenze profonde, ai bisogni del cuore che ci rendono davvero tutti uguali. Esigenze di salute, di benessere psichico ed economico, di stabilità lavorativa per sé e i propri figli, di istruzione, di sviluppo etnico e valoriale. L’esigenza profonda nella propria dignità umana, nel proprio diritto alla vita, all’amore, agli affetti e alle amicizie, alla cultura e, non ultimo, all’espressione della propria fede.
Il cammino di integrazione
Certo, non siamo degli ingenui. In tanti anni di accoglienza di minori stranieri, di mamme con i loro figli neonati, di famiglie extra comunitarie, abbiamo anche conosciuto le difficoltà che comportano il cammino di integrazione, la convivenza con usi diversi e con abitudini anche educative che non ci appartengono. A volte abbiamo anche sperimentato l’ingratitudine e la pretesa, la malizia e l’insincerità da parte di coloro che abbiamo cercato di aiutare. Questo, però, non ci deve far fermare e scoraggiare, non può frenare il giusto senso di corresponsabilità e di diritto che è di tutti e per tutti indistintamente. Alcuni hanno usato il proprio diritto in modo scorretto, come forse anche a noi a volte è capitato di fare, ma molti hanno trovato chi li ha riconosciuti nella loro dignità e con gratitudine si sono avviati per sentieri pieni di vita e di serenità. Molti ci hanno insegnato quali siano gli aspetti essenziali della vita, la costanza e la determinazione nel costruire il proprio futuro. Ci hanno insegnato la loro forza interiore e il vero amore, fino all’eroicità, come ci ha mostrato M., un ragazzo egiziano di 15 anni, che durante la traversata per arrivare in Italia, quando il gommone sul quale viaggiava si era rovesciato, aveva buttato in mare il suo zainetto nel quale aveva riposto i ricordi più cari per poter caricare suo cugino che non sapeva nuotare, percorrendo a nuoto in queste difficili condizioni l’ultimo tratto di mare per raggiungere la costa. Basterebbe solo questo esempio a farci credere che le difficoltà non possono avere l’ultima parola e che il Bene non può fermarsi di fronte ad esse e, una volta seminato non va mai perso.
(Foto Agensir)