Invisibile, inaccessibile. Forse addirittura irraggiungibile: «Dio nessuno l’ha mai contemplato» (1Gv 4,12). Allo stesso tempo però cercato e desiderato più di ogni altra cosa, come dirà Paolo ad Atene: gli uomini cercano «Dio, se mai, tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi» (At 17,27). Nel cuore dell’uomo vi è un’incessante ricerca di Dio, quasi una sfida all’adagio biblico «chi vede Dio muore» (cf. Es 33,20). Una sfida che attraverso un “quaerere Deum” condotto in culture e tempi diversi è approdato a risultati multiformi. Anche al di là di ciò che intendiamo come religione e che dovremmo più correttamente definire spiritualità: penso al buddismo o al confucianesimo. (Del resto in quelle culture neppure esiste la parola religione). Resta la domanda: perché Paolo allora parla di un’immagine visibile del Dio invisibile? E qui si apre il “mistero” – non nel senso di qualcosa di sconosciuto o indefinibile ma come “disegno d’amore” – dell’Incarnazione del Verbo unigenito e increato. È il disegno della rivelazione che la costituzione conciliare “Dei Verbum” così introduce: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura» (2). Non si tratta di verità dottrinali bensì di un incontro personale nel Figlio, in Gesù Cristo. Dio non è oggetto di studio, non è materia di insegnamento e se è oggetto di ricerca si tratta di una ricerca che coinvolge la ragione quanto il cuore, lo spirito quanto la carne. Non riduciamo Dio all’idea di dio. Per questo abbiamo bisogno – come ci ricorda Paolo – di Cristo Gesù: Dio si fa conoscere nella carne. Si rivela in un essere umano. Con una particolare attenzione da parte nostra: non solo Gesù è Dio, ma Dio è Gesù. Non sfuggiamo alla carne: Dio è “visibile” solo nella carne. È la carne di Gesù che manifesta il volto invisibile di Dio. Non demonizziamo la carne: lì abita la pienezza della divinità. Il presepe, nella sua semplicità, ce lo ricorda.
Don Michele Mosa