Di Don Michele Mosa
Lo sconosciuto.
Uno fra i tanti.
Non ha l’aureola, come noi lo raffiguriamo.
Indossa gli stessi abiti, parla come tutti, si mette in fila.
Ricevuto il battesimo non fa miracoli ma si nasconde in un angolo a pregare.
Eccolo Dio: è uno di noi.
Questo in fondo è il mistero del Natale: i pastori e i magi avevano visto un bambino. Anna e Simeone presero in braccio un bambino. Erode fece uccidere dei bambini.
E al Giordano Giovanni battezzò un giovane uomo: niente lo distingueva.
Si accorse di lui solo quando lo vide pregare. Quando lo Spirito si manifestò.
Ma anche qui: lo vide Giovanni, non gli altri che erano lì.
Per vedere Dio bisogna essere allenati ai piccoli segni. Bisogna essere esperti in discernimento.
Perché a Dio non servono miracoli.
I cieli si aprono e non ne scaturiscono lampi e tuoni ma una brezza leggera, un vento che ti accarezza. La leggerezza di Dio, del Dio Trinità che non si impone ma si confonde fra gli altri.
Compagno di viaggio: e i dodici ben lo sapevano.
Leggerezza che – scriveva Italo Calvino – è “il planare sulle cose dall’alto, senza avere macigni sul cuore”.
Leggeri per poter camminare nei sentieri della storia compagni dell’uomo, di ogni uomo e donna che incontriamo. Come il nostro maestro, che “se ne va a capo scoperto. La morte, il vento, l’ingiuria: tutto riceve in faccia, senza mai rallentare il passo. ‘Si direbbe che ciò che lo tormenta è nulla rispetto a ciò che egli spera’. Che la morte è nulla più che un vento di sabbia. Che vivere è come il suo cammino: senza fine. L’uomo che cammina è quel folle che pensa che si possa assaporare una vita così abbondante da inghiottire perfino la morte” (Christian Bobin).
Per questo faccio mie le parole di padre Turoldo: “Anima mia, canta e cammina. / E anche tu, o fedele di chissà quale fede; / oppure tu, uomo di nessuna fede: / camminiamo insieme! / E l’arida valle si metterà a fiorire. / Qualcuno / – Colui che tutti cerchiamo – / ci camminerà accanto”.