La Sacra Scrittura di domenica 7 luglio

Il commento di don Michele Mosa. "Ed era per loro motivo di scandalo"

Di don Michele Mosa

 

Una stalla e non una reggia.

Pranza con peccatori e prostitute.

Perdona e non condanna.

Apre le porte del suo regno a un ladro.

Basta?

Per dire che non sto parlando di Dio, direi di sì.

O perlomeno non è il dio che abbiamo in mente noi, che predichiamo onnipotenza e amiamo fumi di incenso e cerimonie fastose.

Io non ho nemmeno dove dormire stanotte: parola di Gesù.

Proprio di quel Gesù di cui diciamo di essere discepoli. E testimoni.

Ma: come può un ricco parlare di povertà?

La piramide rovesciata – come si usa dire oggi negli ambienti ecclesiastici – non basta più. Non si tratta di scambiare i ruoli (cosa che il Sinodo forse ci fa sospettare): la retorica del potere come servizio ha fatto il suo tempo.

Si tratta, penso, di cambiare totalmente la prospettiva: dio si è fatto uomo.

E basta – lo dico ad alta voce – con la canzone che ci siamo protestantizzati perché usciamo dai fumi del sacro.

Et Verbum caro factum est.

Quindi avevo fame, avevo sete, ero malato…

Non sto cancellando la preghiera e la relazione personale/comunitaria con il Padre: vorrei ritrovare la spiritualità del Vangelo, senza fronzoli inutili. Anzi dannosi.

Ho bisogno di scandalizzarmi di dio, di questo dio per non ricadere nella logica del paganesimo e del sacro.

Ho bisogno di ritrovare l’abbraccio di Cristo; l’abbraccio di un dio qualsiasi non mi dice nulla.

Ho bisogno di scandalizzarmi di dio.

Di inciampare in Lui per scoprire che Lui, la pietra scartata dai costruttori, è la scelta del Padre.

Lo scandalo è l’unica arma che abbiamo per difenderci da noi stessi. E dalla nostra idea di dio.

Scandalizzarsi è conversione continua e quotidiana.