Di Don Michele Mosa
La sirena continua a suonare quasi spingendo la gente nei rifugi: urla riparatevi, nascondetevi. Nell’aria i droni seminano morte. E dove non arriva la morte, regna la paura. Le case ormai sono macerie, montagne di mattoni sbriciolati che urlano: tutto ormai è finito. Qualcuno osa dire, addirittura alzando la voce: ci resta la vita. Siamo ancora vivi. Vivi. E piano piano i primi escono dal bunker. Ma, sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere dei fantasmi. Uomini che vagano senza meta, donne smarrite e spaesate. E i bambini… i bambini che scambiano le armi per giocattoli. Un mondo di fantasmi. Di zombie. Di morti. In questo contesto che senso ha l’annuncio della risurrezione, anzi di una tomba vuota? Non profuma di vita, allunga piuttosto l’ombra della morte. Non ti invita a uscire, a respirare aria fresca, a contemplare la natura che fiorisce. Il canto degli uccelli non è allegro, è piuttosto presagio di morte. Eccoli i discepoli il giorno di Pasqua. L’hanno già visto, hanno mangiato con lui eppure la morte è una ferita troppo profonda. Sanguina per giorni, mesi, anni. Per qualcuno è una ferita che non si rimargina. E lui torna. Si presenta e sta. Raccoglie domande e sciuga lacrime. Si lascia toccare. Condivide con loro la cena. Gesti semplici. (Il che non vuol dire per nulla facili). Sta. Come Maria ai piedi della croce. Come tu puoi stare accanto a un malato in ospedale. Sta. C’è. Abbiamo perso il senso del Natale perché abbiamo trasformato il dono in regalo. La gratuità non è economica e quindi l’abbiamo espulsa dalla nostra vita. Abbiamo perso il valore della Pasqua perché non sappiamo STARE: sarebbe una perdita di tempo. E il tempo è denaro. La legge dell’economia è la CORSA. Fermati. Sta. Con le persone che ami. Con chi è in difficoltà. Con te stesso. Con Dio. Esserci spesso val più di mille gesti. Di troppe parole. Di inutili regali. E fa incontrare persone vive non fantasmi.