Fissare lo sguardo è molto più del semplice vedere. È più di guardare e va oltre osservare. Fissare lo sguardo è – per dirlo con il verbo greco “ἐμβλέψας” – guardare dentro, in profondità. Arrivare, per così dire, all’anima. È ciò che scrive l’autore della lettera agli Ebrei parlando della Parola di Dio: «Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore (4, 12)». Fissare lo sguardo è diventare una “cosa sola”. Madre e figlio: due esseri in solo corpo. O se preferite due corpi fusi in un’unica anima. Fissare lo sguardo è entrare con Giovanni XXIII nel carcere di Regina Coeli il 26 dicembre 1958. È riascoltare le sue parole e rivivere quell’incontro. «Siete contenti che sia venuto a trovarvi? Sapevo che mi volevate, e anch’io vi volevo. Per questo, eccomi qui. A dirvi il cuore che ci metto, parlandovi, non ci riuscirei, ma che altro linguaggio volete che vi parli il Papa? Io metto i miei occhi nei vostri occhi: ma no, perché piangete? Siate contenti che io sia qui (…)». (…) Fissare lo sguardo trasforma radicalmente la vita: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro». Di questo sguardo abbiamo bisogno più del pane. Di incontrare qualcuno che ci sappia guardare in profondità, che sappia leggerci nel cuore, mettendo a nudo le nostre infedeltà, le nostre paure, le nostre pigrizie. Ma, ancor di più, aprendoci strade nuove, suggerendoci percorsi di conversione, indicandoci vie di risurrezione. Abbiamo bisogno di chi ci faccia rinascere, pur non potendo tornare nel seno di nostra madre: sei Simone, sarai Pietro. (…) Ma – come scriveva Papa Francesco in “Diversi e uniti. Com-unico quindi sono”, LEV 2020 – «Soprattutto nelle società occidentali il verbo “fissare”, l’atteggiamento contemplativo sembra non avere più cittadinanza, essere sparito dal paesaggio quotidiano, nella vita di tutti i giorni. Nessuno fissa più nessun altro, anzi se questo accade scatta automatico un senso di disagio e una reazione come di fronte a un pericolo. Si è perso così qualcosa, nessuno guarda negli occhi l’altro, non si “sta” uno di fronte all’altro, fermando per un attimo la corsa frenetica del tempo a cui siamo sottoposti». Fissare lo sguardo e lasciarci fissare: buon proposito per il 2024 appena iniziato.
Don Michele Mosa