Come un nonno che raccoglie i nipoti attorno a sé e comincia a raccontare. In riva al mare. Staccandosi da riva su una barca per non farsi schiacciare dalla folla: all’umanità – non importa l’età – piacciono le storie. E Gesù lo sapeva, lo sapeva così bene che «non parlava se non con parabole». Raccontare: l’arte di Dio. Immagini che aprono mondi nuovi e invitano a volare con la fantasia, cioè con il cuore. Io invece fuggo dalla fantasia e mi tuffo nelle speculazioni teologiche ed esegetiche: mente, cervello e non cuore. La mia corsa – forse è la folla corsa dei nostri giorni – è proprio questa: esaltare l’intelligenza al punto che rischiamo di essere guidati dalle macchine: è l’era della cosiddetta AI, l’intelligenza artificiale. Raccontare: l’arte che mi manca e che tanto vorrei avere. È l’arte di chi sa osservare e trasformare le immagini che ha negli occhi in parabole, in racconti che coinvolgono gli ascoltatori. Osserva immagini, ascolta cuori e apre vie di vita bella. Il seminatore lascia dietro di sé semi di vita bella. Le mani, le belle mani della donna impastano farina e lievito. Raccontare è vita che sboccia non profezie di sventura: seminare non sradicare è missione di apostolo. Raccontare la bellezza della vita, la vita buona del Vangelo non indossare gli abiti del moralizzatore (speriamo non dell’inquisitore). Gesù raccontava. La folla ascoltava. Sarà per la nostra poca fantasia che le chiese si svuotano?
Don Michele Mosa