“Salute in carcere”: è il titolo dell’incontro in programma sabato 10 giugno, dalle 9 alle 17, al Collegio Santa Caterina da Siena, in via San Martino 17/B a Pavia. L’appuntamento si svolge con il patrocinio dell’associazione “Co.N.O.S.C.I.” e del Collegio Santa Caterina, in collaborazione con “Sism Pavia” e “Scorp – Human Rights & Peace”. Il programma prevede gli interventi di: Nicola Cocco, infettivologo al carcere di San Vittore a Milano; Sandro Libianchi, presidente di “Co.N.O.S.C.I.”; Felice Alfonso Nava, direttore dell’unità operativa di Sanità Penitenziaria e Salute Mentale del Veneto; Cecilia Spallarossa, specializzanda in Psichiatria presso il carcere di Vigevano; Valeria Polimeni, difensore civico di “Antigone”; Ilaria Rizza, educatrice alla casa circondariale di Pavia; Vincenzo Andraous, ex detenuto e ora libero cittadino.
Come premessa all’appuntamento di sabato 10 giugno, vi proponiamo questa riflessione di Vincenzo Andraous:
CARCERE COSE OGGETTI NUMERI
Il paese delle dichiarazioni roboanti, dei sistemi complessi, degli eventi critici che fanno sempre giurisprudenza d’elite, parole che cadono come cluster bomb. Altri due detenuti a fine corsa, tra i tanti di quest’anno, a seguito dell’anno precedente che ha battuto tutti i record di persone ristrette innocenti e colpevoli “evase con i piedi in avanti”. Due persone in stato di detenzione morte a seguito di sciopero della fame, decedute ieri l’altro e l’altro ancora, il mese prima, senza che una sola voce ne parlasse, ne facesse motivo di vergogna, di responsabilità di questo e di quello, sono mortI nel silenzio più colpevole, senza una riga di compassione, una parola di informazione. La comunicazione azzerata da una forma omertosa di potere assoluto alla bisogna. Ora che il sepolcro imbiancato è stato nuovamente messo alla disperata berlina di se stesso, in molti interverranno per escludere responsabilità, per richiamare i punti della mucca carolina a questa e quella casata di riferimento, nessuno parlerà dei silenzi imposti, delle indifferenze imposte, delle rivendicazioni imposte a comodo. Morti ammazzati per sciopero della fame, non una sola manifestazione dal rumore assordante, non una camminata per le strade, assenti slogan, cartellonistiche d’accatto, urla e grida di protesta, soltanto silenzio. Eppure fino a ieri l’altro il paese è stato scosso e attraversato per molto meno, per qualcuno che da colpevole rivendicava giustizia come poi confermato dalle norme e leggi vigenti. Televisioni, giornali, intellettuali, politici, cittadini, ognuno e ciascuno a dire la propria in maniera corretta e pure scorretta, ma con la consapevolezza di un dovere preciso, denunciare una disumanità che non è più tollerabile, soprattutto nei riguardi di una attenzione post mortem, quando ogni respiro si è estinto, quando la strategia della silenziazione ha ormai fatto il suo corso. Due persone suicidate giorno dopo giorno, senza mai che un bollettino medico sia stato comunicato all’intorno, come invece nel ben più famoso caso precedente. Giorno dopo giorno, a ridosso della morte incombente, unica risposta il cattivo silenzio. Si dirà che di fronte a queste tragedie-vicende tutte meritano la stessa attenzione, ma questa declinazione di tecnici del diritto penitenziario altro non è che la rappresentazione più feroce di come sia reale l’affermazione che in galera non ci sono più persone, non ci sono più innocenti e colpevoli, non ci sono più pezzi di una società che sa riprendere i cocci per ripararne i danni. In carcere ci sono solamente cose, oggetti, numeri, e vanno trattati senza alcun trattamento umano, e al diavolo quanto dice la carta magna, la tanto sbandierata bibbia laica. Adesso come ieri e l’altro ancora, il potere politico riempirà valigie di cartone di condizioni precarie negli istituti penitenziari, ma nessuno di loro obietterà alcun che sul silenzio che ha accompagnato la solitudine di quei due corpi in procinto di diventare cadaveri di nessuno. Appunto.
Vincenzo Andraous