La Sacra Scrittura di domenica 15 gennaio

Il commento di don Michele Mosa. «Io non lo conoscevo»

Che strano verbo conoscere. Ogni volta che lo incontro ripenso a Dante e al suo proverbiale “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Conoscere è la misura della tua umanità, del tuo diventare umano. Conoscere però non è sinonimo di sapere. Nè semplice e ovvia conseguenza dello studiare. Conoscere è – e la Scrittura ebraico-cristiana è maestra in questo – intrecciare relazioni profonde, affettive e perfino sessuali: «Adamo conobbe (“jada‘”) Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino» (Gen 4,1), «Giuseppe prese con sé la sua sposa e, senza che egli la conoscesse (“ghinóskein”), ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù (Mt 1, 24-25)». Strabiliante è allora questo «non conoscere» di Giovanni riferito a Gesù: so chi è ma non ho costruito una vera relazione con lui. Lo conosco per sentito dire: un altro mi ha parlato di lui, mi ha spiegato come riconoscerlo. Un celebre apologo orientale racconta di un giovane che se ne va di casa per conoscere il mondo e capire la vita. Dopo anni ritorna a casa, e al padre che gli chiede che cosa ha imparato, risponde: «Ho scoperto che Dio è mio padre». Al che il padre commenta: «Non c’era bisogno di perderci tempo e fatica. Lo sappiamo tutti che siamo figli di Dio». E il giovane ribatte: «Una cosa è saperlo, altra cosa è scoprirlo». Spesso noi siamo come quel padre: ci accontentiamo del sentito dire: catechismo, libri, incontri, cerimonie religiose, preghierine… Il sentito dire però non buca il dolore, non regge alla prova della delusione, non sostiene nella solitudine: Giobbe ce lo insegna. Dura lotta che si conclude con queste parole (da imparare a memoria e farne un programma di vita): «Io ti conoscevo per sentito dire/ma ora i miei occhi ti vedono» (42,5). Il profeta Osea in un celebre oracolo divino, caro anche a Gesù, dirà: «amore io voglio e non sacrifici, la conoscenza di Dio più degli olocausti» (6,6).

Don Michele Mosa