La Sacra Scrittura di domenica 10 luglio

Il commento di don Michele Mosa. «Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile»

È icona, cioè molto più di una semplice figura. Rivelazione di un volto che si manifesta nel fuoco del roveto, nella brezza leggera del monte. Nella voce del silenzio. Scriverà Giovanni: «Dio nessuno l’ha mai visto, ma il Figlio unigenito ce lo ha rivelato (“exeghésato”)» (Gv 1,18). “Exeghésato”: verbo che può essere tradotto con “raccontare”, “fare l’esegesi”, “narrare”, “spiegare”, “rivelare”. E che “racchiude” tutto il cristianesimo. Raccontare Dio. Ma quale Dio? Forse dovrei scrivere dio perché – come scriveva già Giustino a metà del sec. II – «La parola “Dio” non è un nome, ma un’approssimazione naturale all’uomo per descrivere ciò che non è esprimibile». Dio è spesso solo un’idea, un concetto, un argomento su cui confrontarsi e discutere ma tutto questo cosa ha a che fare con la fede? Dire semplicemente dio per noi cristiani è troppo poco. Dovremmo prendere più seriamente l’ateismo e chiederci quale dio nega? Qual immagine di dio è impressa negli occhi e nei cuori di questi uomini? Quale icona di Dio noi cristiani raccontiamo? Penso ad esempio al dio che benedice le armi. Al dio che riflette i nostri bisogni. Penso alla preghiera che vuole convertire e piegare la volontà di dio ai nostri progetti, ai nostri desideri, ai nostri bisogni. «No, noi cristiani – scrive Enzo Bianchi – andiamo a Dio attraverso Gesù, “l’immagine del Dio invisibile” (Col 1,15): narrando Dio con la sua vita, Gesù ha giudicato tutte le immagini e i volti di Dio che gli uomini si fabbricano con le proprie mani, ha giudicato tutte le proiezioni umane che sovente attribuiscono a Dio il volto di un Dio “perverso”. “Ormai ciò che di Dio può essere conosciuto e predicato è ciò che è stato vissuto e predicato da Gesù”». Che sia davvero questa la conversione di cui abbiamo bisogno? Rimetterci dietro il Maestro, camminare sulle sue tracce senza perderlo di vista. Non possiamo presumere, non possiamo ritenerci “Imparati”: è ciò che accade dopo la Cresima: adesso ho ricevuto il mio diploma e me ne vado per la mia strada. Certo la Chiesa e la parrocchia in particolare non ha il monopolio dell’esperienza cristiana, come non ce l’hanno i movimenti, ma fare da soli porta più spesso alla negazione del Dio di Gesù che a una fede robusto in Lui. Meno teoria, anche a catechismo e nelle omelie, e più esperienze di silenzio e di contemplazione. Più condivisione e carità che prediche dal pulpito (e lo dico a me stesso innanzitutto perché questo è il mio quotidiano errore).

 

Don Michele Mosa

 

 

 

 

a