Il corpo: questione di seduzione? Credo, più semplicemente, questione di Vangelo. Cioè di cristianesimo. Perché il cristianesimo è una strana religione, se pur di religione possiamo propriamente parlare. Infatti, se la parola – e di più il concetto – di religione mi mandano alla spiritualità o addirittura allo spiritualismo o a una qualche “realtà immateriale”, il cristianesimo è, al contrario, profondamente radicato nella carne: il Verbo si fece carne è il Natale nel senso più “religioso” possibile. Anzi nell’unico senso possibile: il Figlio di Dio ha preso un corpo. È generato da Maria non meno di quanto lo sia dal Padre: ne va dell’ortodossia della fede. Il corpo non è, come dicevano i filosofi di Atene, la prigione dell’anima. Morire è un dramma non una liberazione. Il corpo però è più dell’elemento materiale immanente: la visione biblica non è una visione dualistica, non contrappone materia e spirito. Il corpo rivela piuttosto il suo essere unitario e integrale, in quanto inserito nel mondo e costitutivamente aperto all’altro, alla relazione, alla trascendenza. Il “corpo” dice il nostro “venire-da” qualcun altro e il nostro “essere-per” altri. In questo senso, dobbiamo riconoscere che nell’incarnazione Dio “non si contraddice” assumendo un corpo umano, ma propriamente “si dice” nel Figlio unigenito. Incarnandosi, assumendo un corpo Dio dice se stesso. «In principio era il Verbo… si fece carne». Il Natale ci racconta ancora una volta chi è Gesù, il Cristo e perché è venuto in mezzo a noi: è Dio da Dio, generato non creato dal Padre, viene per realizzare il disegno del Padre: che tutti siano salvi. Il corpo diventa allora “luogo teologico” per l’abbraccio eterno fra il Padre e i suoi figli adottivi, i figli nel Figlio. Poca poesia a Natale, tanto mistero – nel senso di disegno divino – da contemplare e in cui lasciarsi assorbire. Natale: il dramma – azione – di un Dio che non si stanca di stravolgere i pensieri degli uomini.
Don Michele Mosa