La Sacra Scrittura di domenica 14 novembre

Il commento di don Michele Mosa. «Aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi»

La prima immagine che mi viene in mente, ad occhi chiusi e senza pensare è quella del cinese seduto sulla riva del fiume che aspetta di veder passare il cadavere del suo nemico.E mi viene la pelle d’oca. Cristo, il Cristo risorto e glorioso, aspetta la vendetta? Sì, mi avete ucciso ma non avete vinto e prima o poi la pagherete: è solo questione di tempo. Vorrei dirmi(vi) che non è così, che questo non è il Dio a cui ogni giorno mi affido eppure qualcosa mi suggerisce che potrebbe essere davvero così: anche il Dio fatto uomo conosce la vendetta. Cos’è, potrebbe infatti dire qualcuno, l’inferno? Se lo immagino come Dante l’ha raccontato è proprio la vendetta di Dio: è posto sotto i piedi di Dio ed è una eterna punizione del peccatore: contrappasso che uccide più della morte stessa. Se però apro gli occhi e comincio a correre tra le pagine della Scrittura l’aria si fa leggera, il cielo si illumina e il sole splende alto: ai piedi del Signore Gesù Cristo c’è la morte, anch’essa sconfitta sebbene per ultima. «Io sono la risurrezione e la vita». E chi come Cristo la affronta fidandosi del Padre, chi come Francesco riesce a chiamarla sorella ne vedrà galleggiare nel fiume il cadavere: vedrà la vita e ne godrà per sempre. Aspettare allora non è sinonimo di vendetta ma vocazione di speranza. Aspettare non è invano attendere chi non arriverà; è saper alzare lo sguardo, è esercizio di intelligenza: “intus legere”. È intuire nel gesto della vedova al tempio il dono della propria esistenza e non solo ciò che mi avanza. Vivrà chi come Cristo ha dato tutto se stesso non qualcosa, neppure tanto. Tutto. E il tutto non ha misura. Il poco o il tanto crea benefattori. Il tutto sboccia dall’amore. E Dio è amore. Anche se a volte l’amore è vendicativo. Oppure no?

 

Don Michele Mosa