C’era una volta il cimitero… Sì, caro amico c’era una volta il Giorno dei Morti, oggi c’è Halloween: e le sue zucche vuote hanno sostituito le preghiere. Costano un po’ di più ma adornano la casa e creano quell’atmosfera horror scherzetto-dolcetto che tanto piace ai bambini. C’era una volta il cimitero, oggi se vuoi ricordare un defunto non devi andare a “Sangiovannino” – così si usa(va) dire a Pavia – ma su Facebook. E dai che lo sai anche tu! La BBC lo aveva annunciato già il 13 marzo 2016 (un secolo fa, praticamente): a breve su Facebook ci saranno più morti che vivi. Precisando che «Il social network per eccellenza ha già preso le sembianze di un cimitero digitale, in costante e inarrestabile crescita». L’avevamo cacciata di casa ma la “Signora nera con la falce” è rientrata più trionfante che mai, e non da una finestra dimenticata aperta ma dal portone spalancato dello smartphone. Infatti se vuoi fare memoria di un tuo famigliare o di un tuo amico o di un conoscente o di un “signor nessuno” incontrato casualmente non compri un fiore, non cerchi una tomba, non sosti in raccoglimento, non innalzi una preghiera al Padreterno: aggiungi un emoticon che piange o con le mani giunte e scrivi semplicemente R.I.P. C’era una volta… il panegirico, orazione funebre che esaltava le virtù del defunto, oggi si scrive una lettera in cui si ricorda quella volta in cui siamo andati in gita al mare ed eri tanto contento, o di quel giorno in cui hai fatto la tua prima torta… emozioni certamente indimenticabili che raccontano un modo nuovo – «tutte le civiltà, le religioni e le concezioni del mondo hanno elaborato strategie e rituali per ignorare, rimuovere, esorcizzare o attribuire un qualche significato alla morte», scrive il filosofo Remo Bodei – di affrontare la morte e di elaborare il lutto. C’era una volta la Messa nel 1° anniversario della morte del caro defunto, c’era l’anno di lutto, oggi c’è l’album dei ricordi su Facebook, appunto.
Il cimitero lascia posto a Facebook…
C’era una volta… Eh no, caro lettore, c’è ancora, ed è più viva che mai. Bollettino giornaliero che l’avverbio purtroppo non basta a lenire; anzi proprio Facebook ne è la costante evidenza anche e soprattutto quando cerca di cancellarla: i morti per Covid-19 sono meno dei morti per tumore o per infarto: bravo, così ci hai ricordato che la morte è molto più potente di quello che pensavamo. Il fatto è – lo sapevano bene gli antichi Greci – che l’esperienza della morte ci tocca sempre per interposta persona: è sempre la morte di qualcun altro. E questo, oggi, più che farci riflettere su come affrontare e vincere anche questa sfida – l’unica certa nel suo presentarsi, incerta nella sua data – alimenta lo strano connubio fra il nostro narcisismo e il nostro bisogno di socialità: il cimitero lascia così il posto all’account di Facebook. E qui emerge il problema: verrà quel giorno e busserà la Nera Signora con la falce alla mia porta e non sarà virtuale. La MIA morte è fisica. Estremamente fisica. Afferra il mio spirito perché spegne il mio corpo. Un dato su cui riflettere: i selfie con il morto. (E non è il titolo di un film). È il modo contemporaneo di prendere le distanze dall’evento morte. Gli antichi lo facevano con la filosofia di Epicuro: «quando ci sono io non c’è la morte, se c’è la morte non ci sono io»: dunque cosa temere? Noi seguiamo la riflessione di Franz Kafka: «Si fotografano delle cose per allontanarle dalla propria mente». Le fotografie erano emozioni, memoria che non si perdeva nei secoli; i selfie sono attimi, durano solo quell’istante e valgono per le condivisioni ricevute: nessuna emozione, piuttosto esibizione. Al centro ci sono io, non chi è fotografato con me.
La morte si sconfigge raccontando la vita
C’era una volta il cimitero… il giorno dei defunti. Oggi ci siamo noi: vivi e desiderosi di farci vedere. La morte – qui vorrei alzare la voce – è la conditio sine qua non per pensare l’eternità e per trasmettere il sapere: la scienza e la filosofia si studiano, la vita si impara guardando, ascoltando, rubando il mestiere ai nonni: la loro consapevolezza di essere al tramonto è per i nipoti la sorgente della sapienza. Le storie, i racconti, le favole sono il filo che proietta l’eternità nel tempo. La morte del nonno è racconto di vita per il nipote. Portate i bambini al cimitero: non è luogo di morte ma di vita. Raccontate loro chi erano, cosa hanno fatto. I loro sogni e le loro ansie. E perché no, la loro fede in Dio Padre e in Gesù Cristo. La loro fede nella risurrezione e nel Paradiso. Farà bene anche a voi. E alzate gli occhi al cielo, almeno per un attimo sia quello il nostro schermo. Fate volare i desideri. La morte si sconfigge raccontando la vita. Ce lo ricorda perfino Facebook.
Don Michele Mosa