C’è nella nostra società, nella nostra quotidianità una figura che evochi potere e privilegi che non susciti moti di repulsione e di odio? Se dico che nell’immaginario comune – e non importa se poi non è del tutto vero – fra queste figure ci sono vescovi e preti, allora comprendiamo il pregiudizio e l’astio che molti hanno in cuore contro la Chiesa e, forse, Dio. Del resto, è difficile che quell’uomo che avanza preceduto dall’incenso, dal vessillo della croce e da due candele fiammeggianti evochi l’immagine della debolezza. Se poi la Messa è un obbligo, il gioco è fatto. Il cerchio è chiuso. A che serve poi indicare il Crocifisso? Gesù è scomodo per i suoi discepoli – pensiamo a Pietro e a Giovanni – figuriamoci per chi non è suo discepolo. E qui, chiedendo scusa, torno a un mio pallino: dobbiamo fare i conti con Gesù e il Dio di Gesù più che con il Dio della filosofia o della ricerca umana. Nome comune è dio, nome proprio è invece Gesù Cristo. Se infatti parlare di “dio” evoca immagini di forza, di eserciti, di schiavi…, parlare di Cristo e del Suo vangelo vuol dire scegliere la debolezza, il servizio, la croce. Questo è il dio di cui il battesimo ci fa figli e discepoli: non vi tremano i polsi quando dite che dio è onnipotente tracciando il segno della croce? Non andate in crisi quando alzate la croce quasi fosse una spada? Ero nudo, affamato, assetato, malato, carcerato… galleria dei ritratti, delle fotografie, anzi oggi diremmo dei selfie di Cristo e del Suo manifestarsi come Dio. Se anche tu oggi “mangi” quel pane, prega che in te sia seme di debolezza. Che ti liberi dalla tentazione di farti imprigionare dalla logica dei numeri, dalla conta di chi siede nei banchi del tempio o partecipa alle nostre riunioni. Forse, anzi senza forse – ed ho la pelle d’oca nel dirlo – Cristo è più visibile negli ospedali e nelle carceri che in chiesa alla domenica.
Don Michele Mosa