Quando Dio si presenta o è presentato come Padre nel mio cuore e nella mia mente si affollano mille immagini ma nessuna ha la pretesa di avere spessore teologico o valenza spirituale. Sono immagini splendidamente e squisitamente umane. Forse addirittura sdolcinate, quasi da cartoni animati. Dio Padre mi fa tornare bambino: mi vedo giocare con mio papà. O seduto a tavola con lui a discutere di mille cose: dal calcio alla politica. Lo ascolto rileggere le mie omelie domenicali segnalandomi quello che gli era piaciuto e quello che andava corretto. Dio Padre è anzitutto umanità. Perché – ne sono profondamente convinto – non si è padre per caso ma per scelta. E sceglie l’uomo adulto maturo non l’uomo biologicamente pronto a procreare. Dio sceglie di essere Padre.
E questo – è solo il mio pensiero, però – comporta almeno due cose:
- Devi imparare a vederlo così, cioè devi uscire dagli schemi della filosofia e della tradizionale immagine che tutti noi abbiamo di Dio: trascendente, lontano, irraggiungibile e impassibile. È Padre: ha scelto di essere Padre, quindi ha scelto di rischiare donando la vita, amando: gioie e dolori. Abbracci e rifiuti. Niente di trascendente anzi: ti porta sulle sue spalle. Ti sostiene con le sue mani. Si china su di te e ti insegna a camminare. Ad amare. Trepida per te e con te. Esulta per te e con te.
- La sola scelta possibile è quella della paternità: non si scelgono i figli (come i figli non scelgono il papà). Padre è dunque questione di accoglienza e di continua conversione: padre e figli crescono insieme. E sono allo stesso tempo insegnanti e studenti.
Dire che Dio è Padre è annunciare la notizia sconvolgente e affascinante: non sono in balìa del destino, non sono frutto del caso. Qualcuno mi ha pensato. Desiderato. Cercato. Atteso. E mi avvolge ogni giorno di attenzione e di cura. Dire che Dio è Padre significa annunciare che il mio rapporto con Lui non nasce dalla paura, non si nutre di angoscia e non si misura sui Codici legislativi. Avere un Padre è prima di tutto costruire una relazione. È un “affare di famiglia” non una “questione religiosa”. Come scriveva Pieter Van der Meer in “Diario di un convertito”: «Quanto deve essere profonda la gioia di colui che, all’improvviso, dopo aver camminato a lungo e cercato la pace inutilmente, capisce che lui pure è figlio di un Padre che lo conosce e che lo ama, e non un atomo sperduto nell’immensità dello spazio! Quest’uomo camminava disperato nel vuoto, e ora la coscienza gli dice con parole di fuoco che la sua vita non è inutile, che Dio lo vede, che Gesù Io ama, che la sua angoscia è compresa e amorevolmente seguita da una mano divina».
Don Michele Mosa