Le Beatitudini. Il Magnificat. L’elogio che Paolo fa della debolezza e la liturgia ci propone come Seconda lettura: è il “paradosso” cristiano di cui scriveva Gilbert K. Chesterton. È il mistero della Croce: da albero di morte a dono di vita. Debolezza non va confusa con sofferenza o miseria: è invece la situazione, forse dovrei direi l’occasione, in cui la potenza di Dio si rivela. Debolezza è la casa dell’onnipotenza che si manifesta non nella forza che sostiene gli scontri (di ogni tipo, a qualsiasi latitudine) ma la fortezza che apre la vittoria agli sconfitti. Debole è il martire che donando la vita irrora di nuova vita l’umanità tutta. E siamo ancora ai piedi della Croce. Fissando lo sguardo sul Crocifisso. Lasciandoci abbracciare dal suo amore. Il paradosso cristiano. Nessuno è forte come chi è debole. Nessuna vittoria è più grande del fallimento. E «Gesù – come dice Papa Francesco – è morto da fallito». Falliti sono i martiri, il cui sangue – scriveva Tertulliano – è seme di nuovi cristiani. Questa è – mi sembra – la consapevolezza di Paolo: «forte è colui che sa di essere debole», per dirla con il Cardinal Martini. C’è una rivoluzione più rivoluzionaria del cristianesimo? Riprendo Benedetto Croce: «il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane». Faccio mie, in conclusione, le parole di Isacco di Ninive: «Quanto Dio vedrà che in tutta purità di cuore ti affidi a lui più che a te stesso, allora una forza a te sconosciuta verrà ad abitare in te. E sentirai in tutti i tuoi sensi la potenza di Colui che è in te».
Don Michele Mosa