Emerge forte in me una domanda: cosa tiene insieme il sacerdote e il futuro? Guardare lontano mi sembra più “cosa” di profeta. A ben vedere però nella realtà è il contrario: il profeta scruta il domani per suggerire come vivere oggi, il sacerdote assume su di sé il presente per affondare nel mistero, cioè nell’eterno, i beni futuri, appunto. Il sacerdote diventa così non l’uomo del sacro, l’uomo (o la donna) che si allontanano dal quotidiano, che sottolineano separazioni e marcano differenze; al contrario il sacerdote è il pontefice, cioè il costruttore di ponti, colui o colei che illumina il presente proiettando su di esso la luce dell’eternità. Per comprenderlo facciamo un tuffo nella linguistica. Ponte deriva dal sanscrito e dall’antica lingua iranica. Ha due significati: il primo è via, strada, cammino e il secondo è mare. Sembrano due realtà opposte e inconciliabili: se non ci lasciamo prendere dalla fretta e riflettiamo ci accorgiamo che il ponte unisce due lembi di terra, due città poste l’una di fronte all’altra, lo stesso però fa il mare: permette di accorciare la distanza che separa le terre. Sacerdote è allora l’uomo che cerca vie di comunione, che non sottolinea le differenze se non per aiutare la convivialità e per valorizzare la diversità. Sacerdote è l’uomo o la donna che si pongono come PONTE fra il “sacro” e il “profano” e permettono il dialogo: non sono l’uno l’opposto dell’altro, infatti, ma l’uno di fronte all’altro (Come diceva la Genesi dell’uomo e della donna: l’uno di fronte all’altro come i due stipiti della porta non per dividere ma per consentire il passaggio. Per creare famiglia). Ecco allora Cristo sommo sacerdote: massimo esperto di ponte, sommo architetto di unità. Non solo unisce l’umano al divino, ma è lui stesso questa unità, questa nuova umanità e questa nuova divinità. Uomo-Dio, Dio-Uomo. Non si tratta di rinnovare qualcosa di già esistente: una Nuova Alleanza, ma di dar vita a qualcosa di veramente nuovo: un’Alleanza Nuova. Comprendiamo allora quanto leggiamo nella Lettera agli Ebrei: «Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna». Il sacerdote, meglio il Sommo Sacerdote diventa così “archegós”, letteralmente “colui che apre la strada” – ed è il contatto più grande con l’immagine del pontefice sopra delineata –, e “mesítês”, “mediatore”. Due cose ci restano da fare: da una parte ripetere, con San Paolo VI, «Cristo tu ci sei necessario», dall’altra imparare da lui a non contrappore la Città terrena alla Città celeste ma a costruire i ponti che le uniscono.
Don Michele Mosa