La Sacra Scrittura di domenica 7 febbraio

Il commento di don Michele Mosa. «Guai a me…»

E le mani coprono la faccia: cosa ho fatto!! Ora cosa diranno di me? No, non si tratta del pianto di chi ha fallito. È il grido di guerra di chi non vuole, non può smettere di lottare. «È una necessità che mi si impone». Cioè, non è una scelta.Troppo spesso invece pensiamo che l’annuncio del Vangelo sia una scelta: è per qualcuno, per pochi; per tutti c’è la sequela, c’è l’ascolto del Vangelo non l’annuncio. Purtroppo, la storia conferma questo. Chi può annunciare il Vangelo? Noi ne abbiamo fatto una questione di mandato: hai la “missio canonica”, il mandato del Vescovo quindi puoi annunciare la parola di Dio. Del resto, missionario significa mandato. Paolo ne fa una questione di fuoco interiore, di coinvolgimento totale, di innamoramento: facile pensare all’esperienza vissuta sulla via di Damasco. O le famose parole del profeta Geremia: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso… Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome! Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa». Dunque, guai a me…Prioritario era ed è l’annuncio del vangelo. Si impone allora, credo, una seria riflessione sulla vita della Chiesa, sul nostro essere Chiesa. Facciamo tanti convegni sulla nuova evangelizzazione, sulla nuova catechesi, sul nuovo modo di vivere la dimensione caritativa e sociale, ma poi, se siamo onesti, cosa cambia nella pastorale di ogni giorno? Poco, per non dire nulla. Aspettiamo che dall’alto arrivino indicazioni per poi criticarle. Dal basso poco emerge, anche perché non offriamo stimoli e occasione (e poi, diciamolo ancora una volta senza timore alcuno: il “si è sempre fatto così” è ancora troppo forte per far spazio a nuove proposte; più facile criticare le famiglie, il parroco, i giovani…). C’è fame di nuovo: forse si tratta solo di solleticare il palato e niente di più. Dobbiamo ripartire dalla strada, cioè dalla vita quotidiana delle persone: Gesù incontra la gente dove vive, non suona le campane per poi lamentarsi che la chiesa è vuota. Dobbiamo fare meno cerimonie – la liturgia mi sembra infatti sia spesso scaduta a cerimonia e non è più un’esperienza viva che provoca la vita – e più proposta di Parola di Dio. Ricordo le lectio del Cardinal Martini e del Vescovo Volta con i giovani: che fine hanno fatto? Per molti di noi la questione è la data della Prima comunione e della Cresima: salvo lamentarsi il giorno dopo delle assenze. Cambiamo registro e facciamolo subito. Domani è troppo tardi. E siccome siamo sempre Vescovo dipendenti, chiedo a lei, Vescovo Corrado, di scuoterci. Di aiutarci a scendere nelle strade senza paura e senza vergognarci. Non lo faccia però con una lettera pastorale: resterebbero parole sulla carta. Venga nelle nostre parrocchie senza fronzoli e scudieri, venga a leggere il Vangelo con noi. Guai a me… tocca noi tutti, laici e preti. Ma, penso, prima di tutto lei. Per favore, ci aiuti. Oggi. C’è tanta fame di Vangelo. Di riti e cerimonie, si muore.

 

Don Michele Mosa