La notte, il cielo stellato, il silenzio: ecco a voi il Natale. Il Natale sognato dal Padre e andato in scena a Betlemme: il Natale che forse avevamo dimenticato presi dalla frenesia della festa con i suoi suoni e i suoi colori. Il Natale che, complice il Covid-19 e il lockdown, potremo – paradosso – gustare di nuovo quest’anno. Come un flash, un lampo che attraversa il cielo e lo illumina: è questione di un attimo. Un attimo fuggente. «Timeo Dominum transeuntem», «ho paura che Gesù passi e io non me ne accorga»: diceva Agostino. Natale dopo Natale: quante volte Gesù è passato nella mia vita, è entrato nella mia casa, ha camminato accanto a me e io non me ne sono accorto. Lui però come un fulmine torna. E illumina il cielo. Il mio cielo. Apparve: la parola chiave del Natale. Si manifestò: squarciò il buio e si fece conoscere. E l’uomo fece i conti con il fallimento della sua teologia: Dio non è quello che aveva pensato e immaginato. Morivano gli idoli, quegli idoli che tanto facevano paura ma che pure erano così amati e venerati. Resta però la domanda, spesso muta e nascosta: può l’Infinito racchiudersi in un frammento? Può l’uomo sostare davanti al Mistero? E cos’è il Mistero, il mistero del Natale in particolare? Dice Paolo: «la grazia, la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini». Nel presepe di Betlemme muoiono le idee e le discussioni e nasce la persona, fioriscono le relazioni: c’è una chiamata – gli angeli, la stella – e una risposta: «andiamo a Betlemme», «siamo venuti per adorare». La luce che attraversa il cielo è un dono di bontà, una manifestazione d’amore: lo riprenderà il Concilio Vaticano II nella “Dei Verbum”: «piacque a Dio nella sua bontà rivelare il mistero…». A Betlemme, a Natale quindi si rivela il Dio innamorato dell’uomo. Di ogni uomo: il pastore impuro e il sapiente magio. Giace in una mangiatoia per farsi mio nutrimento: cibo per la mia vita. Spiegava Benedetto XVI: «Nel bambino Gesù, Dio si è fatto dipendente, bisognoso dell’amore di persone umane, in condizione di chiedere il loro – il nostro – amore». E aggiunge (parole di una tenerezza straordinaria!) che «nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo». Capiamo allora perché, quando Francesco realizzò a Greccio il primo presepe, volle che la mangiatoia fosse l’altare sul quale venne celebrata l’Eucaristia: non una statuina ma Cristo stesso vi fu deposto. Racconta Tommaso da Celano, biografo di Francesco: «Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima». Apparve: ecco la luce del Natale. Lasciamoci avvolgere da essa ed entriamo nel mistero. Sostiamo davanti al presepe come Francesco. Come lui accostiamoci all’Eucaristia e ci sentiremo avvolti dalla bontà di Dio e dal suo tenerissimo amore. Notte, cielo stellato, silenzio: non sono ingredienti per una favola. Sono condizioni per cambiare vita. La luce risplende nella notte. La parola si fa spazio nel silenzio. Dio si rivela nel sorriso di un bambino.
Buon Natale.
Don Michele Mosa