La Sacra Scrittura di domenica 11 ottobre

Il commento di don Michele Mosa. «Tutto posso in colui che mi dà la forza»

Chi è l’uomo? – si chiede il salmista. Perché ti prendi cura di lui? Perché lo hai fatto custode e responsabile (potremmo dire “episkopos”, cioè vescovo) di tutto ciò che tu hai creato? Perché gli hai dato potere sul respiro di ogni essere vivente: piante e animali? Risposta sconvolgente che pone – almeno a me – mille domande: per far risplendere la tua gloria. Perché – leggiamo nel vangelo di Marco – chi vede il bene dia gloria al Padre che è nei cieli. Ma come può ciò che nasce dalla polvere della terra essere impronta di cielo? Ci vuole il vento: un alito di vento e la polvere si alza e vola. Inizia ad abitare il cielo. Ci vuole il respiro di YHWH per alzare l’uomo, tratto dalla rossa terra, alle vette del cielo: «E l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2, 7). «Come nani su spalle di giganti», potremmo dire con Bernardo di Chiaravalle. Vedo lontano non per merito mio ma perché, come un bambino, sto sulle spalle del mio papà. Invincibile debolezza. Fragile potenza. Posso tutto, non qualcosa. Posso senza limiti. Posso. Semplicemente posso. Solo però nella consapevolezza che il “tutto” e il “potere” sono un dono che ricevo. Sono una chiamata che accolgo. Uno sguardo che mi illumina. Dice l’Esodo: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa» (Es 3, 7-8). E Maria: «Dio ha guardato alla mia debolezza» (Lc 1, 48). Lo gnosticismo, una corrente cristiana sviluppatasi in Egitto fra il II e il III secolo, così spiegava il senso dell’Incarnazione di Gesù Cristo: «Io divenni piccolo perché attraverso la mia piccolezza potessi portarvi in alto donde siete caduti… Io vi porterò sulle mie spalle». Ecco chi è l’uomo. Ecco chi sono io. Terra assetata di cielo. Polvere trasportata dal vento. Polline che regala vita. Tralci legati alla vite, come leggiamo al capitolo 15 del vangelo di Giovanni. Abbiamo bisogno dello Spirito Santo come il polline ha bisogno delle api e la polvere del vento. «Senza la tua forza / nell’uomo non è nulla» – canta la Sequenza dello Spirito Santo. E, se in questo periodo di cresime (effetto di Covid-19 anche questo), prima di tutto noi preti riscoprissimo l’invocazione alla Ruah, respiro che da vita, di Dio? Se, invece di inseguire perfette e spettacolari liturgie (autoproclamazioni di se stessi di rosso vestite) ci lasciassimo semplicemente investire dal “Soffio”/Spirito di Dio? «Dio si stanca dei grandi regni, mai dei piccoli fiori» – scriveva il poeta indiano Tagore. E don Luigi Pozzoli, prete milanese innamorato della piccolezza (forse perché piccolo lui?): «Nell’incarnarsi di un Dio bambino, che poi prenderà le fattezze di un servo, avviene qualcosa che sommuove tutte le gerarchie umane: Dio viene a incrociare e a sentire come parte di se stesso tutti i piccoli della terra: i bambini, i malati, gli emarginati, gli impuri come i pubblicani, gli eretici come i samaritani, i senza patria, i senza nome, i senza voce». Dalle stelle alla stalla? Piuttosto dal potere ostentato con la forza all’amore che si abbassa e solleva verso mete irraggiungibili. «Tutto posso in colui che mi dà la forza».

 

Don Michele Mosa