Dalla battaglia per il rinnovamento del Corriere della Sera all’impegno per la valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale: educata secondo i principi della borghesia lombarda, in base ai quali “chi ha avuto molto, deve dare molto”, come amava ripetere, Giulia Maria Crespi (nella foto ANSA, ndr), morta oggi, domenica 19 luglio, a Milano all’età di 97 anni, ha attraversato il Novecento da protagonista. E ha lasciato il segno – come ricorda oggi il Fondo per l’Ambiente Italiano, di cui è stata fondatrice nel 1975 e fino all’ultimo anima ispiratrice – per “una creatività inesauribile, una riluttanza per i compromessi, una passione per il dialogo, una singolare unità di ideali e concretezza, una noncuranza per le difficoltà e una mai incrinata perseveranza”.
Nata a Merate il 6 giugno 1923 in un’importante famiglia industriale lombarda, figlia unica, fu educata in casa da precettori privati, imparò le lingue e respirò l’amore per l’arte: tra i suoi insegnanti c’era Fernanda Wittgens, la soprintendente artefice della rinascita di Brera dopo la seconda guerra mondiale. Sposò in prime nozze Marco Paravicini, da cui ebbe due gemelli, Luca e Aldo (morto in un incidente stradale a 65 anni a maggio scorso). Rimasta vedova dopo soli quattro anni di matrimonio, si risposò con l’architetto Giulio Mozzoni. Nel 1962, con l’appoggio del padre Aldo, entrò nella gerenza del Corriere della Sera, partecipando in modo attivo alla gestione e impegnandosi di persona – fu soprannominata ‘la zarina’ – nella battaglia per l’ammodernamento del giornale, in consonanza con la parte più progressista dell’opinione pubblica, come racconterà poi nell’autobiografia ‘Il mio filo rosso’, uscita per Einaudi nel 2015. Erano gli anni della direzione di Piero Ottone subentrato a Giovanni Spadolini, delle collaborazioni di Pier Paolo Pasolini e Goffredo Parise, ma anche di Antonio Cederna che la stessa Crespi chiamò per occuparsi di temi ambientali. Una svolta coraggiosa ma complessa, che nel 1974 la spinse a lasciare il Corriere, dopo aver ceduto quote della proprietà a Gianni Agnelli e Angelo Moratti e poi liquidato il resto ad Andrea Rizzoli.
Si occupò così sempre di più della Fondazione Crespi Morbio per Famiglie Numerose e di Italia Nostra, alla quale era iscritta già dalla fine degli anni ’50 e dove conobbe Renato Bazzoni. Con lui, Alberto Predieri e Franco Russoli nel 1975 fondò il Fai – Fondo Ambiente Italiano, dotandolo personalmente dei primi 500 milioni di lire e donando all’associazione il primo bene, il Monastero romano-longobardo di Torba (Varese), nel 1976. Fu la prima ‘applicazione’ in Italia dell’alleanza pubblico-privato per la valorizzazione e la tutela del patrimonio, un atto pioneristico per il quale il ministro Dario Franceschini oggi la ringrazia rendendole omaggio. Sarebbero poi arrivati l’Abbazia e il borgo di San Fruttuoso donati dai principi Doria Pamphilj, il Castello della Manta (Cuneo), la Villa del Balbianello sul lago di Como e Villa Della Porta Bozzolo a Casalzuigno (Vreser). Con entusiasmo e intraprendenza fondò un gruppo di sostegno, I 200 del FAI, affidato all’amica Marella Agnelli, e poi acquistò il Castello di Masino (Torino), una delle più importanti regge piemontesi, che versava in uno stato di rovina.
Nel frattempo nascevano le Giornate Fai di Primavera, con le aperture al pubblico di luoghi normalmente inaccessibili (diventate nell’ultima edizione, causa pandemia, Giornate all’aperto), e altre manifestazioni, come i Luoghi del Cuore, che hanno reso popolare il Fondo per l’Ambiente Italiano, che oggi conta su oltre 210 mila iscritti, più di 500 aziende sostenitrici, 7.800 volontari. Anche dopo la morte di Bazzoni (1996), Crespi andò avanti con la gestione del Giardino della Kolymbethra ad Agrigento, in concessione dalla Regione Sicilia, e del Parco Villa Gregoriana a Tivoli, concesso in comodato dallo Stato. Nel 2010 diventò presidente onoraria del Fai, lasciando il posto a a Ilaria Borletti Buitoni, cosi come poi sostenne l’opera di Andrea Carandini, attuale presidente. Da quarant’anni Giulia Maria Crespi lottava anche per difendere l’agricoltura in Italia, in particolare quella organica, senza veleni, insegnata e praticata nella sua grande azienda agricola della Zelata sulle rive del Ticino. I funerali si svolgeranno in forma strettamente privata. (ANSA)