La Sacra Scrittura di domenica 19 luglio

Il commento di don Michele Mosa. «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza»

E la liturgia risponde cantando: «sine tuo numine, nihil est in homine», «senza la tua forza nulla è nell’uomo». Anche se preferisco tradurre così: «senza essere avvolti da te, senza l’abbraccio caloroso della tua misericordia, l’uomo è spaesato, non sa quale strada percorrere». Addirittura – aggiunge Paolo – non sa neppure come chiedere indicazioni: «non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente». La prima cosa da fare – mi pare – sia riconoscersi deboli: e non perché siamo limitati e alcune cose non le sappiamo o non le possiamo fare ma perché sappiamo che non è vero che chi fa da sé fa per tre. L’essere stati chiusi in casa, l’aver sperimentato (e il continuare a farlo) la distanza fisica tra noi ci ha fatto parlare – paradosso? – di “distanziamento sociale”. Sperimentare la fatica dell’incontro con l’altro, ci toglie il respiro quasi più del virus: siamo fatti per “volare abbracciati” – direbbe don Tonino Bello –, l’alternativa è razzolare a terra. Questa è la nostra debolezza! Perfino Gesù manda i suoi discepoli in coppia. Dopo aver scoperto la nostra fragilità, dobbiamo imparare l’umiltà: diventare terreno che si lascia coltivare, vite che si lascia potare: e questo fa male. Ma porta frutto. L’aratro che spacca le zolle, le cesoie che potano i tralci: sangue che dona vita. Non è però facile vivere la propria debolezza e la propria dipendenza dall’altro, dall’Altro: vogliamo essere tutti protagonisti della nostra vita, autori del nostro futuro. Per non dire “autoreferenziali”. Ecco la nostra malattia. Il non saper gioire insieme, il non saper soffrire insieme. Troppo spesso – spero sia solo la mia impressione – anche noi cristiani, anche nella Chiesa, vige la norma del “Mors tua, vita mea”, tanto peggio, tanto meglio: se non posso far valere le mie doti, sottolineo i difetti e gli errori dell’altro. Così al posto del Vangelo e della misericordia, dell’accoglienza e dello Spirito Santo emerge e si impone il mio IO: i miei pensieri, le mie idee, le mie valutazioni, il mio piano pastorale…Che sia davvero necessario riscoprire la Chiesa come comunità e popolo? Che sia necessario partire ancora da Oriente: imparando o re-imparando la dimensione della sinodalità?

 

Don Michele Mosa