Di Alessandro Repossi
“La separazione delle carriere, tra magistratura requirente e giudicante, non aiuterà a risolvere i problemi della giustizia. Piuttosto bisogna pensare a rinfoltire gli organici: servono più magistrati e più personale amministrativo nei tribunali”. A proporre la riflessione, in un’intervista al settimanale “il Ticino” che pubblichiamo anche sul nostro siti, non è un giudice o un pubblico ministero, ma un avvocato: e già questa è, di per sé, una notizia. La tesi è sostenuta da Fabrizio Gnocchi (nella foto), uno dei legali più conosciuti e apprezzati del Foro di Pavia. Il suo curriculum professionale è arricchito anche dal ruolo di avvocato cassazionista, oltre all’esperienza nel 1996 di pubblico ministero onorario presso la Procura della Repubblica e presso la Pretura di Pavia con nomina del Consiglio Superiore della Magistratura, e di segretario-tesoriere (dal 1995 al 1997) e successivamente di vice presidente degli avvocati penalisti di Pavia.
Avvocato Gnocchi, come vede l’attuale situazione della giustizia italiana e quali sviluppi prevede?
“Vado un po’ controcorrente, ma non credo che la separazione delle carriere sia un bene per la giustizia italiana. Ho analizzato il progetto di riforma costituzionale e vedo il rischio di un’eccessiva frammentazione, con la creazione di un secondo Consiglio Superiore della Magistratura e un possibile aumento dell’autoreferenzialità dei pubblici ministeri. Temo anche che si possa arrivare a un assoggettamento della magistratura al potere politico, il che sarebbe un passo indietro”.
Quindi, secondo lei, la separazione delle carriere non risolverebbe i problemi della giustizia?
“No, perché il problema non è questo. La giustizia ha bisogno di più magistrati e, soprattutto, di un massiccio potenziamento del personale amministrativo: cancellieri, segretari, ufficiali giudiziari. Sono loro il cuore pulsante della macchina giudiziaria, il tramite tra avvocatura e magistratura. Inoltre, servirebbe una formazione adeguata per affrontare la digitalizzazione del sistema giudiziario, accelerata dalla legge Cartabia e dalla pandemia. Molti problemi nascono proprio dalla difficoltà di interfacciarsi con il sistema telematico”.
Quindi ritiene che il dibattito sulla separazione delle carriere sia fuorviante?
“Assolutamente sì. La nostra Costituzione già distingue le funzioni tra magistratura giudicante e inquirente. L’articolo 107 afferma chiaramente che i magistrati si distinguono solo per diversità di funzioni. Se proprio si vuole intervenire, si dovrebbe lavorare su questa distinzione senza stravolgere l’impianto costituzionale”.
C’è chi sostiene che l’eccessiva familiarità tra pubblici ministeri e giudici possa minare l’imparzialità dei processi. Lei cosa ne pensa?
“È una sciocchezza. Non è separando le carriere che si impediscono i normali rapporti umani tra magistrati, così come tra avvocati e magistrati. Il problema non è il caffè al bar, ma il rispetto delle regole deontologiche e del buonsenso. Modificare la Costituzione per questi aspetti è una soluzione confusa e strumentale”.
C’è un intervento legislativo che ritiene più urgente rispetto alla separazione delle carriere?
“Sì, e riguarda il codice penale. Trovo inaccettabile che nel 2025 si utilizzi ancora un codice che porta la firma di Mussolini. È stato modificato nel tempo, ma il decreto del 1930 è ancora alla base del nostro ordinamento penale. È un’anomalia che dovrebbe essere sanata”.
Un altro grande problema della giustizia è la sua lentezza. Quali sono le cause principali?
“La lunghezza dei processi dipende da tanti fattori: burocrazia, difficoltà nelle notifiche, lungaggini nella raccolta delle prove. Tuttavia, il principio del giusto processo, introdotto nella Costituzione, dovrebbe garantire tempi ragionevoli. Il processo dipende molto anche dalle persone: giudici, pubblici ministeri e avvocati. È fondamentale trovare il giusto equilibrio tra una difesa efficace e la necessità di non trascinare i processi all’infinito. Non bisogna abusare degli strumenti processuali solo per allungare i tempi, Personalmente vedrei come elemento positivo l’implementazione dei diritti degli avvocati penalisti per svolgere meglio lo loro linea difensiva, con la possibilità di avvalersi dell’attività della polizia giudiziaria”.
Cosa pensa, in definitiva, delle riforme della giustizia?
“Se una riforma è fatta per migliorare il sistema, ben venga. Ma se è guidata dal desiderio di dimostrare chi comanda sarà sicuramente una pessima riforma, destinata a creare nuovi problemi invece di risolvere quelli esistenti”.