Di Don Michele Mosa
Vedere: è la sfida che il Vangelo lancia a ciascuno di noi. Vedere: tra le nubi il Figlio che viene, a Betlemme il Figlio che giace in una mangiatoia, nel sepolcro il Figlio che non c’è, è risorto. Vedere: questione di occhi. Anzi, di mente. Metanoia, conversione: del cuore, della mente, delle opere, delle strutture. Allora vedremo il Figlio dell’uomo venire. Infatti noi per lo più noi aspettiamo un Dio che venga a ratificare le nostre scale di valori, le nostre opere di giustizia. Ma se noi avessimo il coraggio di riconoscere che tutto quello che abbiamo fatto è vano e che tutte le nostre epopee di conquista si concludono in una prospettiva di incenerimento, che tutte le nostre rivoluzioni pur necessarie non fanno che ribadire altri rapporti di schiavitù!… Se per un certo momento ci prendesse questo scoraggiamento storico e cosmico! Allora la voce profetica riemergerebbe dal nostro cuore. Per vedere il Figlio dell’uomo venire abbiamo bisogno di occhi di gufo, occhi che vedono nella notte.Scrive Louis Albert Lassus: “I gufi e le civette mi piacciono per i loro occhi. Ah! quegli occhi enormi, occhi da icone! Molto prima di me, hanno letteralmente affascinato i Bizantini. Con loro sono diventati gli occhi del Cristo Pantocrator, quelli della Vergine, degli angeli e dei santi. Bestemmia, sacrilegio? Via… Non vedete, o saggi, non vedete, o assonnati dagli occhi cisposi, uomini e donne dagli occhietti stretti e semichiusi, che Dio ha fatto gli occhi dei gufi e delle civette così enormi affinché fossero occhi che vedono nella notte, quando le cose sono ciò che sono e nient’altro? Per scrutare le tenebre bisogna avere occhi smisurati, gli occhi di Dio stesso. Allora la notte diventa luce. Gli occhi di Dio! Enormi, così enormi che un giorno qualcuno disse: ‘Bisogna chiamarlo Theos’, Colui che vede, si stupisce e si meraviglia. Capisco come il mio amico Bessarione abbia aggiunto: ‘L’uomo di Dio? Non è né un asceta, né tantomeno un virtuoso pago della sua virtù, ma semplicemente questo: uno sguardo, un occhio come Serafini e i Cherubini, come Dio stesso’. […] Mi trovavo un giorno in un celebre monastero benedettino. Ebbi l’incredibile audacia di dire, di fronte alla comunità riunita (un ‘impressionante e dignitosa massa nera): ‘Miei padri, se non diventerete come gufi non entrerete nel Regno’. Ci fu un momento di silenzioso stupore. Poi vidi i volti di quei cercatori di Dio ridere come stelle in inverno. Sapevano che avevo ragione”. L’Avvento ci porti in dono occhi di gufo.