Di Don Michele Mosa
Inferiate. Porte blindate. Allarmi. Telecamere.
E poi facciamo il fervorino sull’aprirsi all’altro. Al povero. Al migrante. Al malato. Al…
Quanto moralismo e quanta ipocrisia nella nostra vita.
Nel nostro dirci cristiani.
Prediche commoventi, a volte perfino strappalacrime mentre la vita è decisamente su un altro binario.
Apri il cuore. Apri la casa. Apri la tua vita.
Siamo onesti: non abbiamo nessuna intenzione di aprirci all’altro quando è uno sconosciuto, fosse pure il vinco di casa o il vicino di panca in chiesa.
Perché commentare il Vangelo è una cosa, vivere la quotidianità un’altra.
Il Vangelo non è più vita vissuta.
È testo di studio. Qualche volta di preghiera ma non è manuale di vita.
Certo non saprò mai vivere il Vangelo “sine glossa” come Francesco d’Assisi. Il problema però è che non c’è altro modo di vivere il Vangelo: i compromessi non fanno parte della vita dei cristiani (e qui ci starebbe bene un esame di coscienza personale e comunitario).
Apriti!
Diceva don Tonio Bello: “L’uomo di oggi pensa di raggiungere la sua libertà chiudendosi, bloccandosi, lasciandosi prendere o correndo dal complesso di tutte le cose insieme. La nostra vita è programmata. Non c’è più spazio per i panorami, non c’è più spazio per la conversazione, non c’è più spazio per la contemplazione. Si costruiscono i caminetti nelle case, e non ci si raccoglie
Più”.
Apriti!
Una questione di sensi più che di mente.
Per aprirsi dobbiamo ritrovare la fisicità della nostra fede cristiana. Dobbiamo riscoprire, come Francesco, il valore dell’incarnazione di Cristo e della nostra carne.
“I sensi – scriveva padre Turoldo – sono divine tastiere” (D.M. Turoldo). La salvezza passa attraverso i corpi, non è ad essi estranea, né li rifugge come luogo del male, anzi sono “scorciatoie divine” (J.P. Sonnet).
Aprimi, Signore perché possa incontrarti. Aiutami a superare le mie paure.
E se vogliamo tornare al grido di Giovanni Paolo II: “Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”.