Festa di S.Agostino a Pavia: la S.Messa presieduta a S.Pietro in Ciel d’Oro dal Vescovo Corrado

Il testo dell'omelia di Mons. Sanguineti

Oggi, mercoledì 28 agosto, si celebra la Solennità di Sant’Agostino, compatrono insieme a S. Siro della città di Pavia. Questa giornata rappresenta il culmine delle celebrazioni in onore del Santo, iniziate sabato 24 con la S. Messa presieduta da Mons. Maurizio Gervasoni, Vescovo di Vigevano. In mattinata Mons. Corrado Sanguineti, Vescovo di Pavia, ha presieduto la S. Messa nella basilica di San Pietro in ciel D’oro. L’omelia pronunciata dal Vescovo Corrado in questa partecipata e suggestiva celebrazione è stata densa di riferimenti alla vita di Sant’ Agostino. La giornata si chiuderà con il Solenne Pontificale presieduto dal Cardinale Claudio Gugerotti, Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali. (L.R.)

Ecco il testo dell’omelia del Vescovo Corrado Sanguineti nella S.Messa da lui presieduta la mattina di mercoledì 28 agosto:

 

Carissimi fratelli e sorelle,

Abbiamo appena ascoltato un passo della seconda lettera di San Paolo al discepolo Timòteo, nel quale l’apostolo, parlando del compito che Timòteo è chiamato a svolgere nella guida della comunità, riflette il modo con cui egli stesso vive la sua missione di evangelizzatore: «Annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento» (2Tm 4,2). Il nostro pensiero si volge così a Sant’Agostino nel giorno della sua festa solenne: come vescovo della sua Chiesa d’Ippona, è stato un uomo della Parola, un servo del Vangelo. Quanto ha predicato Agostino, spezzando il pane della Parola al suo popolo! Quanto ha nutrito i suoi fedeli con la sua arte retorica, messa al servizio dell’annuncio e della predicazione! E ovviamente, prima che essere un maestro, Sant’Agostino è stato un discepolo e un fedele uditore della Parola: sappiamo che nel suo percorso esistenziale, nella sua ricerca inquieta della verità e della felicità, fin da giovane, egli ha coltivato l’arte della parola, si è messo alla scuola del pensiero e della sapienza umana, abbracciando anche dottrine erronee e dannose. Inizialmente, quando ha provato a leggere da solo la Bibbia, è rimasto per lui un libro chiuso e sigillato, se n’è allontanato, giudicando le Scritture dei testi poveri, pieni di oscurità, ben lontani dall’altezza letteraria e retorica degli autori profani antichi.

Solo quando ascolterà la predicazione di Sant’Ambrogio e inizierà a conoscere la comunità cristiana di Milano, con il dono di maestri illuminati come il presbitero Simpliciano, il nostro Santo aprirà davvero le orecchie del cuore alla Parola di Dio, e com’è noto, un momento fondamentale della sua conversione alla fede cristiana sarà rappresentato dalla lettura di un breve passo della lettera ai Romani, aperta a caso, accogliendo una voce misteriosa di fanciullo che gli ripeteva: «Tolle et lege» – «Prendi e leggi» (cfr. Le confessioni, VIII. 12. 29).

Dopo il battesimo Agostino sceglierà di vivere con i suoi amici una vita di comunità, in una forma monastica, dando spazio all’ascolto e allo studio delle Scritture. Quando sarà chiamato, contro la sua volontà a diventare presbitero e poi vescovo a Ippona, continuerà a essere un discepolo fedele, innamorato della Parola di Dio, e metterà a frutto il suo ascolto e il suo studio, nella predicazione al popolo, nella difesa della retta dottrina contro le eresie del suo tempo, nella sapiente riflessione sulle grandi realtà della fede. Anche se Agostino non è stato un evangelizzatore, come San Paolo, vivrà il suo essere pastore nell’orizzonte della Parola del Vangelo, accolta, ascoltata e offerta.

Ebbene, la sua vita di credente e di pastore può essere riassunta nelle essenziali espressioni con cui l’apostolo fa un bilancio del suo cammino: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione» (2Tm 4,7-8).

Che bello, carissimi fratelli e sorelle, se ciascuno di noi potesse ripetere queste parole, al termine della sua esistenza, se anche la nostra vita potesse essere racchiusa e detta da queste parole! Sant’Agostino, come San Paolo, come ogni discepolo autentico di Cristo, ha combattuto la buona battaglia, per il Vangelo, per la fedeltà al Signore, per l’edificazione del suo Regno nel mondo.

È una battaglia che non a niente a che fare con la follia delle guerre che ieri come oggi insanguinano la terra, è una battaglia che avviene nel cuore, nella scelta, rinnovata ogni giorno, di essere fedeli a Cristo, a Dio, nel rifiuto del peccato e della menzogna, nella passione spesa per testimoniare la fede e per far crescere la Chiesa. Così la vita diventa una corsa: Agostino, a differenza di Paolo, non ha corso, percorrendo strade e regioni per portare l’annuncio del Vangelo e per fondare nuove comunità, ma ha vissuto una corsa interiore per scoprire e afferrare la verità, ed è rimasto un uomo vivo, in cammino, sempre teso alla ricerca del volto del suo Signore. Soprattutto, come l’apostolo, egli ha conservato la fede: dopo averla ritrovata e riscoperta, l’ha alimentata nell’ascolto delle Scritture, l’ha difesa dagli errori e dalle false interpretazioni, non ha mai voluto separarsi dalla fede della Chiesa, si è lasciato generare alla fede dalla comunità credente e a sua volta, come vescovo e maestro, ha servito e custodito la fede del suo popolo.

Ora, carissimi amici, un’esistenza vissuta così, nella vigilanza e nella passione, nell’umiltà e nella sapienza della fede, nell’appartenenza e nel servizio alla Chiesa, è stata attraversata e illuminata dalla speranza, come attesa certa dell’incontro finale, faccia a faccia, con il suo Signore, come pregustazione iniziale della pienezza e della realtà che si dischiudono oltre il tempo, oltre la morte, nel Regno di Dio, nella luce della vita beata.

Così Sant’Agostino può essere un maestro e un testimone che ci accompagna nel tempo, ormai prossimo, del Giubileo dell’Anno Santo 2025, che, per volontà di Papa Francesco, avrà come tema la speranza, l’essere noi pellegrini di speranza. Sarà anche il tema della mia lettera pastorale.

Il grande vescovo d’Ippona, nella sua predicazione e nei suoi scritti, è stato un cantore della speranza, della grande speranza che si apre a noi nell’incontro con Cristo, nella luce del Vangelo, nell’esperienza della fede e della carità. Egli ci aiuta a riconoscere come la nostra vita, nelle sue varie fasi, è attraversata da speranze e attese, parziali eppure preziose, e che proprio quando queste speranze più alla nostra portata si realizzano, scopriamo che non bastano, che siamo alla ricerca di qualcosa di più grande: «Ora infatti notiamo che gli uomini sperano molte cose relative a questa terra e, nell’ambito della vita secondo il mondo, l’esistenza stessa di ogni uomo non manca di speranza; anzi, fino alla morte, ciascuno non è privo di speranza; speranza nei fanciulli: di crescere, di istruirsi, di apprendere qualcosa; speranza negli adolescenti: di prender moglie, generare dei figli; speranza nei genitori dei figli: di allevarli, di istruirli, di vedere adulti quelli che vezzeggiavano bambini … Così muore e spera; e spera questo e quello, una volta ricevuto ciò che sperava. Ma, ricevendo ciò che sperava, non si sente appagato, anela ad altro» (Disc. 313/F).

La grande speranza, capace di dare respiro e orizzonte al nostro quotidiano, al cammino della nostra Chiesa, in questo tempo complesso, che ci chiede di maturare scelte nuove e di ripensare il nostro modo d’essere comunità cristiana nelle nostre città e nei nostri paesi, nei nostri ambienti di vita ci è donata scoprendo e conoscendo il Dio vivente, Amore fedele e affidabile, nel volto umano di Gesù, nell’esistenza trasfigurata dei suoi amici e dei suoi testimoni, nella vita della comunità, plasmata dalla forza della Parola e dei sacramenti.

Noi ora siamo in cammino, pellegrini verso l’eterno, e la speranza è l’attesa certa di un destino buono, che intravediamo. La speranza ha a che fare con un futuro, che non viviamo ancora e non possediamo in pienezza, un futuro di cui siamo certi, perché è promesso dal Dio fedele e già possiamo percepire e riconoscere l’alba della risurrezione, i segni del Regno che si fa vicino nel presente, nell’umanità più bella, più vera, più buona e più lieta che fiorisce in noi e intorno a noi, come frutto della fede e dell’amore a Cristo. Così per Sant’Agostino, la speranza è la virtù del presente, è la fede in cammino nella storia, e come la fede, appartiene al tempo del pellegrinaggio e non avrà più ragione di esistere quando saremo nella patria, quando passeremo dalla spes alla res, dalla promessa alla piena realtà: «Infatti, col sopraggiungere della realtà, la speranza non esisterà più; naturalmente, tanto a lungo si parla di speranza fino a quando non si possiede la realtà, secondo quanto dice l’Apostolo: “Ma la speranza di ciò che si vede non è più speranza: infatti, ciò che uno già vede, come lo spera? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo aspettiamo con perseveranza”». (Disc. 313/F)

Che il grande padre Agostino accompagni i nostri passi nel cammino verso il Giubileo e aiuti la nostra Chiesa a ritrovare il respiro della speranza, attinta alla sorgente inesauribile del Vangelo.

Che in questo tempo, segnato da minacce e preoccupazioni crescenti, da paura e sfiducia nel futuro, molti possano riscoprire in Dio, nella sua parola, in Cristo, nella sua viva presenza, la grande speranza che permette di attraversare ogni tempo e ogni giorno. Amen!

Mons. Corrado Sanguineti (Vescovo di Pavia)