La Sacra Scrittura di domenica 4 febbraio

Il commento di don Michele Mosa. «Prendendola per mano»

di Don Michele Mosa

 

Gesto semplice. Gesto di innamorato.

Dice vicinanza. Comunica calore. Offre sicurezza.

Mani che si stringono, vite che si intrecciano.

Questo è Dio, il Dio di Gesù Cristo.

Non voglio sacrifici né olocausti. Non mi interessa l’incenso.

Preziose vesti che non fanno solenni le vostre preghiere ma mettono voi al centro, raccontano la vostra vanità, il vostro bisogno di gratificazione.

Essere Dio per me significa stringere mani. Farmi vicino. Lasciarmi toccare.

«Lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. Il nostro Dio è vicino, compassionevole e tenero»: quante volte in questi dieci anni ce l’ha ricordato Papa Francesco.

Lo stile di Dio traspare in Gesù.

Le mani.

Dovremmo oggi fare l’elogio delle mani. Di questo organo semplice, spesso sinonimo di cosa di poco conto: lavoro manuale contro lavoro intellettuale, tanto per dirne uno.

Saggia la Regola di San Benedetto che chiede ai monaci di compiere tutti un lavoro manuale, fosse pure – possiamo aggiungere noi – quello di lavare i piatti. Del resto per creare l’uomo, Dio stesso usò le mani, anzi si sporcò le mani: la parola, da sola, non bastava.

Abbiamo bisogno, credo, di recuperare questa vicinanza, questa compassione, questa tenerezza. Abbiamo bisogno di una carezza. Di sentire il calore di Dio e non solo il suo sguardo inquisitore.

Per questo lasciate che trasformi una poesia di Hermann Hesse in una preghiera.

Tienimi per mano al tramonto,
quando la luce del giorno si spegne e l’oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle…
Tienila stretta quando non riesco a viverlo questo mondo imperfetto…
Tienimi per mano…
portami dove il tempo non esiste…
Tienila stretta nel difficile vivere.
Tienimi per mano…
nei giorni in cui mi sento disorientato…
cantami la canzone delle stelle dolce cantilena di voci respirate…
Tienimi la mano,
e stringila forte prima che l’insolente fato possa portarmi via da te…
Tienimi per mano e non lasciarmi andare…
mai…”.