Venerdì 6 ottobre, alle 21, nella Cattedrale di Pavia si aprirà il nuovo anno pastorale diocesano, con una preghiera-meditazione sulla Parola di Dio guidata da dom Luca Fallica, abate dell’Abbazia di Montecassino. Sarà presente anche Mons. Corrado Sanguineti, Vescovo di Pavia. Sul sito www.ilticino.it vi proponiamo l’editoriale di Mons. Corrado pubblicato sul numero de “il Ticino” dl 29/9/2023.
Di Mons. Corrado Sanguineti (Vescovo di Pavia)
Potrebbe sembrare strano scegliere la preghiera come tema della mia lettera pastorale per questo anno. A prima vista ci sono realtà e questioni più urgenti o più in primo piano, in questo momento, per la vita della gente e delle nostre comunità: la ferita sempre aperta delle guerre, alle quali rischiamo di fare l’abitudine, come il conflitto di cui è vittima l’Ucraina, le mille forme della violenza, anche legata all’intolleranza, soprattutto contro i cristiani (in più nazioni dell’Africa e dell’Asia) o nella cronaca delle nostre città. Non possiamo non provare sgomento di fronte a episodi gravi che vedono come vittime donne e addirittura ragazze, ridotte a oggetto di possesso e di uso da parte di giovani e adolescenti. Poi ci sono le preoccupazioni sul piano sociale ed economico, come la tenuta dei soggetti più fragili, famiglie e anziani, nell’affronto delle quotidiane difficoltà, e il lavoro precario e irregolare, con i problemi della sua sicurezza e i troppi morti sul lavoro.
In queste settimane si ripropone il dramma dei migranti e dei profughi, che bussano alle porte dell’Europa, e in mancanza di vie d’accesso legali, regolate dagli stati, finiscono nelle mani di mercanti d’uomini, di donne e di bambini e di scafisti senza scrupolo, e quando non sono inghiottiti dal mare, nella traversata su barchini insicuri e stipati e riescono ad arrivare sulle nostre coste, portano con sé una storia di violenze spesso per noi inimmaginabili. Non pochi di loro poi, invece di compiere percorsi d’accoglienza e d’integrazione, finiscono a ingrossare le file di chi lavora in condizioni di sfruttamento, di chi è arruolato nella malavita e si ritrova a vivere senza dignità.
La vita della Chiesa è segnata dall’appuntamento dell’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si terrà a Roma nel mese d’ottobre, dedicato al tema della sinodalità, mentre come Chiesa italiana, prosegue con una partecipazione comunque limitata, il Cammino sinodale e nella nostra diocesi parte di questo cammino vuole coinvolgere le comunità cristiane nel ripensare come essere presenti sul nostro territorio, per una testimonianza più viva del Vangelo, tenendo conto delle condizioni concrete delle nostre parrocchie, del calo dei sacerdoti, del clima sociale e culturale che viviamo, caratterizzato da una crescente distanza dalla fede.
Allora, perché una lettera sulla preghiera, intesa come gesto e dimensione della vita umana e cristiana, personale e comunitaria? Perché, come vescovo, desidero riproporre forme ed espressioni essenziali del pregare, riscoprendo la radice profondamente umana della preghiera, come esperienza propria dell’uomo vivo e attento alla realtà, e i tratti originali del nostro pregare da cristiani?
Innanzitutto c’è un’occasione che non voglio sprecare: Papa Francesco ha chiesto che l’anno 2024 sia dedicato alla preghiera anche come preparazione all’Anno Santo del 2025. È un’indicazione che ha più volte richiamato e spesso invita il popolo di Dio, pastori e fedeli, a vivere la preghiera in modo autentico, non formale e meccanico, soprattutto come adorazione, come lode, come domanda concreta e umile, fiduciosa e semplice a Dio, al Padre che Gesù ci rivela.
Inoltre, proprio mentre siamo impegnati come Chiesa, a riflettere sul volto che vogliamo assumere, sulla missione da vivere, su scelte pastorali che coinvolgeranno le nostre comunità, mettere al centro la preghiera ci aiuta a non perdere di vista l’essenziale, a non ridurre la Chiesa a una sorta di “azienda” o d’istituzione da organizzare e aggiornare! La comunità cristiana nelle nostre città e paesi, negli ambienti dove scorre la vita delle persone e delle famiglie, è in primo luogo una comunità di fede e di preghiera, che cerca di vivere e di testimoniare la bellezza dell’incontro e della relazione con Dio, con il suo Figlio, Gesù Cristo, nello Spirito Santo. Se dimentichiamo questo o lo diamo per scontato, se perdiamo la passione di pregare e di proporre cammini e gesti che educano al dialogo con il Signore vivente, smarriamo il cuore della vita cristiana e alla fine rischiamo di diventare una semplice “agenzia” educativa e sociale, nell’illusione che così saremo più compresi e accolti.
Infine, è proprio una vita radicata in Cristo e plasmata dalla preghiera e dal rapporto con Lui, che si apre con passione alla realtà, che sa condividere i bisogni e le sofferenze dei fratelli uomini, che sa testimoniare uno sguardo nuovo, originale, carico di speranza, di fronte a ogni circostanza e a ogni sfida della storia. La preghiera allarga il cuore al mondo, paradossalmente anche stando in un monastero, genera la fantasia inesauribile della carità – pensiamo a Santa Teresa di Calcutta e ai tanti testimoni di una santità creativa e allo stesso tempo nutrita dalla preghiera, come il nostro Don Enzo Boschetti o San Riccardo Pampuri – e rende capaci i cristiani di generare opere di bene, di cultura, d’educazione, forme nuove d’impresa e di lavoro, collaborando con chiunque, come dimostra la grande storia del cattolicesimo sociale lombardo e italiano.
Riscoprire e vivere il dono e la forza della preghiera cristiana, fare delle nostre comunità autentiche “scuole di preghiera” per bambini, adolescenti e giovani, per adulti e anziani, per malati e feriti dalla vita, è il primo modo per essere vivi e per diventare protagonisti dell’esistenza e della storia. Soprattutto oggi, in un mondo che non pregando più, perde la dimensione spirituale della vita e rischia di disumanizzarsi.