Non voglio evitare la questione: so di essere chiamato a correggere: lo è ogni cristiano, anzi ogni uomo, che abbia a cuore le sorti del vicino, del fratello/sorella, del compagno di viaggio. Non sfuggo le fatiche della “correzione fraterna”, anche se tante volte mi trovo a mio agio nei panni di Caino: «sono io il custode di mio fratello?». Tocca a me richiamare l’altro? Quello però che oggi mi colpisce è – per così dire – l’altro lato della medaglia, cioè indossare i panni di colui che viene corretto (a volte, per dirla tutta, con poca carità ma sempre con giuste ragioni). Nei panni di colui che va richiamato e corretto, il verbo che mi schiaccia è ASCOLTARE. Tutto si gioca lì: se ascolto, se non ascolto. Nel primo caso si apre la via ella fraternità, dell’amicizia, della comunità; nel secondo tutto si inabissa nel buco nero dell’egoismo, del sentirsi il migliore, della rottura della comunione. Ascolta: legge fondamentale di Israele. Legge fondamentale del discepolo di Cristo, parola fattasi carne. Ascolta: tendi l’orecchio, chiudi la bocca. Apri il cuore. Scriveva Plutarco.: «La perdita della capacità di ascoltare è figlia della perdita della dimensione del silenzio. L’uomo moderno ha orrore del silenzio. Il silenzio della mente è ormai un’espressione priva di significato. […] Sottoposta a un incessante bombardamento di messaggi, la nostra mente è una fucina di pensieri, che lavora senza turni di riposo. Abbiamo perso la capacità di rallentare». E dire che queste parole risalgono al sec. I dopo Cristo. Ascoltare è sempre stato complicato. Sarà per questo che non sappiamo correggerci fraternamente e fraternamente non sappiamo accogliere le correzioni?
Don Michele Mosa