Andare.
Restare.
Incontrare.
Cenare.
Dialogare.
Subito pensiamo ai protagonisti: due uomini, anzi tre. Due che tornano sui loro passi, sconfitti dalla vita, delusi dall’amicizia. Feriti nell’anima: noi speravamo… sogni infranti.
E il futuro cede il passo al passato.
La memoria gela i progetti: fiducia mal riposta in uomo creduto immortale, invincibile.
Risultato: mai confidare nell’uomo – Geremia aveva ragione.
A pensarci bene però il vero protagonista di questa vicenda non sono gli uomini, non è Dio. A far incontrare la morte e la vita è la strada, soltanto la strada.
Mi impressiona sempre leggere queste parole: «Si fermarono, col volto triste». Camminare vuol dire confrontarsi, discutere, confidarsi ansie, preoccupazioni, domande sul futuro; fermarsi è lasciar emergere la tristezza, il passato che lega, la morte che imprigiona.
Fermarsi: indice di paure, cartina al tornasole di mancata speranza: “uomini di poca fede” non camminano, si rintanano in stanze chiuse, in cuori malati di sclerosi.
Chiesa che non sa più frequentare strade e piazze è Chiesa moribonda se non già morta. Il Crocifisso esce dal sepolcro, noi discepoli facciamo del sepolcro (sacristia) la nostra casa.
La strada è luogo d’incontro, le aule scolastiche sono luoghi d’incontro, i treni e i pullman, i negozi e i centri commerciali: “non luoghi” – come li definiva Marc Augé – che però ora sono luoghi privilegiati per incontrarsi… fra noi umani e con Dio. Quel Dio che ama le rive del lago di Tiberiade più del Tempio di Gerusalemme, i pubblicani più dei sacerdoti e dei farisei.
Emmaus: chiamata alla strada. Chiamata, forse l’ultima, a ringiovanire una Chiesa troppo “sclerotica” e autoreferenziale.
Pensiamoci.
Più che suonare campane, è ora di giocare e ballare e discutere nelle piazze.
E Lui, il Risorto, sarà al nostro fianco. Usque ad consummationem mundi.
Don Michele Mosa