La Sacra Scrittura di domenica 13 novembre

Il commento di don Michele Mosa. «Chi non vuole lavorare, neppure mangi»

Tema da sindacalisti, il lavoro. Cosa ne sa un prete visto che – opinione di molti, anche cattolici – non lavora o, per meglio dire, non fa niente? Sarà anche vero (nessuna sterile polemica), Paolo però di lavoro se ne intendeva perché lavorò e del suo essere lavoratore fece un punto di forza. E questo era una novità per il suo tempo: il lavoro manuale era infatti ritenuto degradante e riservato agli schiavi e agli illetterati o ai barbari. Paolo però ha alle spalle l’esperienza biblica e sa che la creazione è il modello cui ispirarsi: Dio opera per sei giorni e si riposa nel settimo giorno, stabilendo così, simbolicamente, la legge del lavoro e del riposo. Tutto questo, prima ancora che nella Bibbia si parli del peccato. Il lavoro fa dunque parte della natura originaria dell’uomo, non della colpa e del castigo. Leggiamo nella “Gaudium et spes”: “Con il lavoro, l’uomo abitualmente provvede alle condizioni di vita proprie e dei suoi familiari, comunica con gli altri e rende servizio agli uomini suoi fratelli, può praticare una vera carità e collaborare con la propria attività al completarsi della divina creazione. Ancor più: sappiamo per fede, che, offrendo a Dio il proprio lavoro, l’uomo si associa all’opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth. Di qui discendono, per ciascun uomo, il dovere di lavorare fedelmente e il diritto al lavoro. Corrispondentemente è compito della società, in rapporto alle condizioni in essa esistenti, aiutare per sua parte i cittadini affinché possano trovare sufficiente occupazione” (67). Possiamo dunque dire che il lavoro è per l’uomo, non l’uomo per il lavoro! Lavorare non è schiavitù e non può diventarlo, penso al lavoro dei bambini, senza rispetto delle norme di sicurezza, senza orario. Paolo però ci dice una cosa in più: chi non vuol lavorare. Quasi a dirci che lavorare non è segno di deprezzamento. O di umiliazione. Tutt’altro. E l’ozio – dicevano i nostri vecchi – è il padre dei vizi. Ozio, non otium. Perché non si lavora solo con le mani.

Don Michele Mosa