Immagine lugubre e terrificante, almeno per chi non è archeologo: due sepolcri. Uno è di Gesù Cristo, l’altro è riservato ai suoi discepoli. Il primo è memoria di un evento: la sepoltura del figlio del falegname Giuseppe, l’altro è porta che apre, che “inizia” ai suoi misteri. Il sepolcro del Maestro è di pietra, quello del discepolo invece è di acqua. Il primo accoglie un cadavere, il secondo è casa per il “corpo del peccato”. Entrambi però, a dispetto di ciò che sembra, non odorano di morte ma sono culla di vita nuova. E di nuova vita. Sullo sfondo c’è il Crocifisso: è lui che «morendo distrusse la morte e proclamò la risurrezione» – come recita la preghiera eucaristica II. Il Cristo pasquale è, dunque, immagine del cristiano battezzato. È questa la forza del battesimo: prefigurare la morte per aprire alla vita. E questa – credo – è anche la debolezza del battesimo: annuncia un mistero che sperimenti nella vita solo nella fede; la realtà sembra non esserne toccata. Battesimo è vita che inizia non passaggio attraverso la morte: e pochi lo sperimentano. Anche di coloro che si dicono “praticanti”. È un rito tradizionale: dice un’appartenenza senza implicare nessun particolare credo o scelta di vita. Nella prassi quotidiana cosa cambia fra l’essere o non essere battezzati? Se ciò che conta è essere persone oneste, generose e rispettose, persone che se non possono fare il bene non fanno nulla di male: il battesimo cosa ti dice? Cosa ti dà? Forse abbiamo bisogno di recuperare queta dimensione “lugubre e terrificante” dei due sepolcri.
Don Michele Mosa