Giorni in cui si presume verrà la carestia. Giorni in cui avremo bisogno di ricorrere alle scorte. Siete come le formiche: previdenti. Invece no! La ricchezza accumulata non è un bene: è spesso infatti frutto di ingiustizia. Scriveva Leone XIII nell’introduzione alla “Rerum novarum” (1891): «I portentosi progressi delle arti e nuovi metodi dell’industria; le mutate relazioni tra padroni ed operai; l’essersi in poche mani accumulata la ricchezza, e largamente estesa la povertà; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo e l’unione tra loro più intima: questo insieme di cose e i peggiorati costumi hanno fatto scoppiare il conflitto». I pochi che hanno molto, anzi troppo. I molti che hanno poco, anzi niente. E sarebbe retorica a basso prezzo citare ad esempio i bambini che lavorano nelle miniere di cobalto del Congo. Giacomo mi piace: mi accoltella ma mi fa sentire vivo. Mi ricorda che la vita è essenzialmente gratuità: dal concepimento alla morte. Il filo che unisce i due capi non può essere quello del guadagno, dell’accumulo, del successo o del potere. Che, certamente pagano, ma non durano. E soprattutto non danno la felicità. E, forse, neppure la serenità. Penso non ai tormenti del ricco che deve custodire i suoi nuovi magazzini o difenderli dall’assalto della Banda Bassotti. No, penso al contrasto fra la preoccupazione per il conto in banca e la predicazione del Vangelo: come puoi avere nel cuore il sasso su cui stanotte poggerà il capo il Maestro e in mente Piazza Affari? Pianto e stridore di denti. Non nell’aldilà, qui sulla terra. Nel quotidiano di chi ti vive accanto. E nel tuo quotidiano, continuamente diviso fra ideale che ti spinge a sognare e i conti del dare-avere che non ti danno respiro. Beati i poveri: in spirito e nella gestione della quotidianità. Riscopriamo il dono della manna: gratuità che permette di gustare la vita senza assillo e senza affanno. La manna: dono che arricchisce proprio perché non si può accumulare.
Don Michele Mosa