Con tutte le urgenze che come Paese stiamo affrontando, in questo tempo di faticosa ripresa, segnato da incertezze e difficoltà economiche e sociali, che probabilmente si aggraveranno nei prossimi mesi, non si comprende proprio la fretta con cui il Parlamento si prepara a esaminare la proposta di legge Zan che intende modificare due articoli del codice penale (604-bis e 604-ter), per sanzionare reati di omotransfobia come discriminazioni, violenze o provocazione alla violenza dettate da motivi di orientamento sessuale e identità di genere.
I Vescovi italiani, nel comunicato dello scorso 10 giugno, hanno espresso un giudizio che mi sembra opportuno citare in esteso: «Le discriminazioni – comprese quelle basate sull’orientamento sessuale – costituiscono una violazione della dignità umana, che – in quanto tale – deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni. Trattamenti pregiudizievoli, minacce, aggressioni, lesioni, atti di bullismo, stalking… sono altrettante forme di attentato alla sacralità della vita umana e vanno perciò contrastate senza mezzi termini. Al riguardo, un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio. Anzi, un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre Nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte. Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso».
È chiaro che a ogni persona, qualunque sia il suo orientamento sessuale, è dovuto rispetto e vanno evitate forme odiose di discriminazione e di disprezzo, ma la modifica proposta apre la porta a interpretazioni e prassi che, come è accaduto in altri Stati che hanno norme simili, configurano dei reati di opinione e ledono gravemente la libertà di pensiero. L’articolo 604-bis del codice penale afferma che è punito «con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». La proposta di legge vorrebbe aggiungere: «oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere». Qui si apre un crinale scivoloso, perché resta molto indeterminata la categoria di ciò che è propaganda e di ciò che può essere interpretato come istigazione a commettere atti di discriminazione, fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.
“Il pericolo di un pensiero unico”
Più radicalmente, la legge è ambigua e pericolosa perché, con l’intento di sanzionare atti discriminatori verso soggetti che liberamente praticano scelte di vita e di orientamento sessuale, tende a privilegiare e a tutelare una certa visione della sessualità, che considera possibile e normale la dissociazione tra il sesso (maschile o femminile) e l’orientamento di genere che ognuno può assumere, in base alla percezione soggettiva di sé, non poche volte indotta e favorita dal vissuto personale, dall’ambiente sociale e culturale, o da una sottile e pervasiva ideologia che pensa la libertà come pura e continua “invenzione” e “sperimentazione” di sé. Si prospetta anche l’istituzione di una “Giornata contro l’omotransfobia” che facilmente diventerà occasione per diffondere, soprattutto nelle scuole, questa visione che tende a essere dolcemente imposta come pensiero unico, a cui tutti devono sottostare; ci sono già esempi di prassi che tendono a utilizzare in questo senso l’educazione sessuale nelle scuole o interventi sui temi dell’omofobia e omotransfobia, spesso affidati, in modo esclusivo, a esponenti del mondo e delle associazioni LGBT.
“Noi tutti siamo figli di un uomo e di una donna”
Scendendo più in profondità, qualunque visione della sessualità possa essere affermata e praticata, occorre fare i conti con la realtà e, da questo punto di vista, rispettare le scelte soggettive, senza discriminare e senza offendere, non significa rinunciare a distinguere e a esprimere giudizi di natura morale, che riguardano le azioni e che dipendono dalla visione stessa dell’uomo e della donna, dell’amore, della famiglia, della vita: ovviamente senza pretendere di giudicare la coscienza delle persone, senza voler imporre per legge o con mezzi sottili la propria concezione.
Che esista un’irriducibile differenza sessuale tra maschio e femmina, inscritta nella natura sessuata dell’essere umano, essenziale per una relazione tra soggetti differenti e per la generazione della vita umana, è un fatto: noi tutti siamo figli di un uomo e di una donna. Ci possono essere soggetti che vivono una fatica, a volte temporanea, nel riconoscimento della propria identità sessuale, che avvertono una sorta di frattura tra ciò che sono, dal punto di vista del sesso (maschile o femminile), e ciò che sentono. Resta comunque un dato di realtà da cui non si può prescindere, come se noi potessimo assumere qualsiasi forma di vita e di affettività. Inoltre le forme di fecondazione in coppie dello stesso sesso introducono sempre figure doppie e artificiali, giungendo a configurare una paternità e una maternità giuridica, accanto a quella biologica, o addirittura a ridurre il grembo di una donna a “contenitore” di un figlio destinato a essere dato ad altre persone, che a volte, non hanno nessun legame genetico con il neo-nato: un figlio venduto, ridotto a oggetto, con caratteristiche scelte in cataloghi offerti da sollecite agenzie, in un “business” squallido e disumano, che lede la dignità del nascituro e della donna gestante!
Così si è espressa la giornalista Costanza Miriano, nel parere che le è stato chiesto dalla Commissione Giustizia della Camera circa il ddl Zan: «Tra le tante parole spese nei ddl non ho letto le più utili e le più necessarie: cosa si intende per omofobia. Non è ammissibile ritenere discriminatoria qualsiasi affermazione di differenze basate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, quando, invece, il principio di uguaglianza presupporrebbe di trattare in modo uguale situazioni uguali; e in modo ugualmente differente situazioni differenti. E’ evidente che una coppia eterosessuale aperta alla vita è totalmente diversa da una coppia dello stesso sesso che non può concepire una nuova vita … La differenza è enorme e non di dettaglio, è normale dire che siano diverse, non è offensivo. È semplicemente la realtà. La sanno tutti, solo che con questa legge non si potrà più dire: norme così fumose servono precisamente a questo, non a proteggere dalla violenza, cosa sacrosanta ma già prevista dalla legge. Servono a proibire alle persone di dire quello che vedono tutti (mi ricorda la fiaba di Andersen, ma ci sarà pur qui un bambino che avrà il coraggio di dire “il re è nudo”): dire che una coppia di due persone dello stesso sesso è diversa da una formata da uomo e donna non può offendere nessuno. Se guardiamo ai Paesi dove leggi simili sono in vigore, l’esito è spaventoso: padri di famiglia in carcere per un’immagine sulla felpa (Francia), Vescovi incriminati per l’espressione delle verità professate, dipendenti pubblici licenziati per un “like” (Spagna), per non parlare dei Paesi di “common law” (l’ostetrica sollevata dall’incarico per aver detto che solo le donne partoriscono, in Gran Bretagna, idem per l’eroe dei pompieri Usa, capo del corpo nazionale, perché sostenitore del matrimonio uomo donna). Su temi valoriali discriminare, cioè distinguere, non solo non può essere reato, ma è un diritto intoccabile e sacro: giudicare – le azioni, non le persone – è ciò che dice come stiamo nel mondo, dove io – e quelli che la pensano come me – abbiamo lo stesso diritto di cittadinanza degli altri».
L’educazione e i valori trasmessi dai genitori ai figli
C’è di più: oltre alla libertà di pensiero, va riconosciuta la libertà di proporre una concezione della vita e dell’agire umano, che comporta anche una valutazione morale degli atti e delle scelte. Questo diritto appartiene innanzitutto alla famiglia, ai genitori che nell’educazione dei figli trasmettono una visione dell’esistenza e cercano di far maturare la capacità di un giudizio morale. In questo senso, non può e non deve diventare un reato perseguibile per legge il fatto che dei genitori esprimano ciò che riconoscono come vero ed essenziale: per esempio che in natura si è uomini o donne, che la famiglia nasce dal matrimonio, come unione di un uomo e di una donna, che un bambino ha diritto a nascere in una coppia stabile con le due figure chiare del padre e della madre.
Lo stesso diritto va riconosciuto alle comunità religiose o di altra ispirazione, nella formazione dei propri aderenti e fedeli: qui entra in gioco la libertà religiosa, che è parte della libertà di pensiero e di espressione, riconosciuta nelle moderne democrazie. In Italia il Concordato (art. 2) tra Repubblica Italiana e Chiesa Cattolica garantisce «ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Il rischio che si corre con l’ambiguità del ddl Zan sui reati di omotransfobia è che nell’interpretazione da parte di associazioni LGBT e di qualche magistrato particolarmente “sollecito” e sensibile a certi temi, si leda il diritto delle famiglie, delle associazioni, delle comunità religiose, a esprimere con libertà il proprio pensiero e a offrire indicazioni etiche ai propri membri. Con l’intenzione di tutelare i diritti di alcuni, si finisce per circoscrivere e limitare i diritti di altri, e paradossalmente per garantire la tolleranza e il rispetto per scelte e orientamenti di vita, non da tutti condivisi, si diventa intolleranti per chi non si adegua al “mainstream” delle grandi “lobbies” culturali. Mi permetto di citare ancora un passaggio del contributo richiesto a Costanza Miriano dalla Commissione Giustizia della Camera circa il decreto in discussione: «Cosa vuol dire omofobia (ammesso che si possa considerare reato una paura, sempre che esista)? E se è tutelata la libertà delle persone di scegliere la propria appartenenza di genere – cioè se un uomo che si sente donna ha la libertà di cercare di diventarlo – allo stesso modo io non ho la libertà di percepirlo comunque come un uomo? Può una legge entrare in una sfera privatissima, sacra e intoccabile come la percezione delle cose? Può essermi imposto per legge come percepire le persone? Possiamo imporre agli altri in uno stato democratico come ci devono percepire?».
“Un serio pericolo, più volte indicato nel Magistero della Chiesa”
Come dimostrano casi accaduti là dove sono vigenti norme di questo tipo, siamo davanti a un serio pericolo, più volte indicato nel Magistero della Chiesa: che in nome della libertà, intesa come disposizione di sé, svincolata dalla verità, per la quale i desideri dei singoli individui diventano diritti da riconoscere e da tutelare, si arrivi a un nuovo “totalitarismo”. Per San Giovanni Paolo II «una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo», per Benedetto XVI «si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie», e Papa Francesco, proprio con riferimento alle tematiche del “gender”, ha evocato più volte il rischio di «una colonizzazione ideologica» e di «un pensiero unico» che tende ad affermarsi, schiacciando culture e tradizioni di popoli e di nazioni.
Per tutto ciò che è in gioco nella discussione in atto sulle modifiche della legge Zan, come Vescovo e come cittadino italiano, faccio appello a tutti i politici di ogni schieramento che hanno a cuore la vera libertà nel nostro Paese, “in primis” ai parlamentari cattolici: è in questione la libertà di pensiero e di espressione di ogni persona, di ogni famiglia, di ogni associazione, di ogni comunità religiosa! Troppo grave è il rischio che surrettiziamente si introduca un reato di opinione e che venga meno un libero e critico confronto di idee e di concezioni dell’umano.
Come pastore, vorrei infine, esprimere il desiderio che fosse meno silente il laicato cattolico: a parte rare eccezioni, fino ad ora, è mancata una presa di posizione e di giudizio chiara da parte di associazioni, movimenti e comunità di laici cristiani, e l’unica voce è stata quella della CEI e di alcuni singoli Vescovi. Non si tratta d’innalzare barricate o di arrivare a scontri ideologici, ma di difendere la libertà di tutti e di ciascuno a esprimersi su aspetti fondamentali dell’esperienza umana. Perché valgano anche su questi temi, le parole indebitamente attribuite all’illuminista Voltaire: «Non condivido la tua idea ma darei la vita perché tu la possa esprimere» (frase scritta nel 1906 dalla scrittrice britannica Evelyn Beatrice Hall in “The Friends of Voltaire” con lo pseudonimo di S. G. Tallentyre, erroneamente attribuita a Voltaire).