La Sacra Scrittura di domenica 15 dicembre

Nel linguaggio dell’apostolo la costanza è chiamata “μακροθυμία”, cioè grandezza d’animo. Una grandezza d’animo che ha due punti di forza: i profeti e la venuta del Signore. I profeti innanzitutto. Essi sono, mi pare, il segno della fedeltà di Dio all’Alleanza. Sono il segno della “pazienza” di Dio – pazienza che significa passione d’amore e sofferenza per amore – verso gli uomini. Isaia l’ha ricordato nella prima lettura: «Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”». Di questa fedeltà, di questa paziente attesa, di questo dono di salvezza la croce di Cristo è l’emblema più significativo. La “Parusia” poi. Il ritorno di Cristo: il vero senso dell’Avvento (non le filippiche contro il consumismo dei regali o la “guerra” del presepe o l’anatema contro Babbo Natale). Il Santo Cardinale J. H. Newman diceva che il nome del cristiano è: «Colui che attende il Signore». A ben pensarci infatti l’Avvento è il “solo” tempo del cristiano, l’unica possibilità di vivere il tempo che i cristiani hanno: attendere un incontro. Anzi, l’incontro. Eppure ho la sensazione – e lo dico prima di tutto a me stesso – che era giusto il richiamo di Ignazio Silone: «Mi sono stancato di cristiani che aspettano la venuta del loro Signore con la stessa indifferenza con cui si aspetta l’arrivo dell’autobus». “Macrothumia”, grandezza di cuore: forse per noi oggi significa riscoprire la speranza. Perché la speranza – spiegava E. Mounier – «rifà ciò che l’abitudine disfa. È la sorgente di tutte le nascite spirituali, di ogni novità, di ogni libertà. Semina cominciamenti là dove l’abitudine immette morte». Dunque attendere Gesù, essere cristiani autentici è essere uomini e donne dal cuore grande. Dallo sguardo rivolto al futuro. Significa seminare speranza non vendere biglietti dell’autobus! 

 

 

Don Michele Mosa