Ho pensato a lungo: che senso ha questa espressione di Paolo? Solo un dubbio, anzi una paura si affaccia alla mia mente: Cristo è un “vestito”. Lo indossi secondo l’occasione. O il bisogno. È cioè qualcosa di esterno, che si appoggia al tuo corpo ma non sei tu. Vestire… indossare: sembra più qualcosa che serva agli altri che a te. Vai in piscina, indossi il costume. Vai dal Papa, metti la giacca. Vai in chiesa, “indossi Cristo”. Ma puoi usare lo stesso abito a scuola? In pizzeria? Oppure rischio opposto: Cristo diventa la tua “divisa”, cioè ti fa entrare in un ruolo. Ti trasforma da persona a personaggio: sono cristiano o faccio il cristiano? Non credo che Paolo intendesse Cristo come una tunica da indossare. Basta infatti ascoltare ciò che dice ai Galati (2, 20): «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me». Forse – e da queste mie parole si vede tutta la mia fragilità e la mia incompetenza – dal vestito si potrebbe passare agli occhiali: non fanno parte di te, li appoggi sul naso ma se li togli non vedi nulla o vedi ombre e figure dai contorni incerti. Indossare Cristo diventa – è ancora Paolo – avere gli stessi sentimenti di Cristo (Fil 2, 5). È cioè immergersi nell’amore di Dio che ci ha avvolto nel battesimo e far sì che chi mi incontri lo possa respirare quasi fosse profumo. Il profumo delle buone opere. Profumo, veste, buone opere: è il battesimo che trasforma il tuo cuore di pietra in casa dello Spirito. E il vestito è solo l’interiorità che si manifesta: «ex abundantia cordis». Non è una maschera ma trasparenza. Auguro a me e a tutti voi di poter iniziare così l’Avvento per arrivare al Natale “rivestiti del Verbo che si fa carne”.
Don Michele Mosa