La Sacra Scrittura di domenica 16 marzo

Il commento di don Michele Mosa. «Salì sul monte a pregare. Mentre pregava»

Di Don Michele Mosa

Non c’è miracolo alcuno. Non c’è trasfigurazione di sorta. Miracolo e trasfigurazione sono realtà umane. Terrene. Il luogo della manifestazione della Goria di Dio è la preghiera e la fragilità di un corpo umano. Sembra quasi che Luca abbia paura di pronunciare quella parola: trasfigurazione, come se percepisse che tutto finirebbe nel calderone dei miracoli, dei fatti eccezionali e soprannaturali. Qualcosa che accade una volta. Una volta sola. E a pochi privilegiati. Invece no. Gesù sale sul monte a pregare. E mentre pregava. Il Maestro non insegna a pregare. Non consegna formule di preghiera. Lui prega. E loro, i discepoli, imparano osservando. E imitando. Come in una bottega di artigiano: il maestro lavora. Gli apprendisti “rubano” la sua arte osservando. E, qualche volta, chiedendo consiglio. Pregare non trasfigura il corpo. Pregare fa del corpo trasparenza della luce di Dio. Ti rende partecipe di quello che i Padri chiamavano “mistero della luna”, cioè diventi riflesso della luce solare che ti illumina e ti avvolge.

«Ci sarebbe da pensare – commenta don Angelo Casati – e a me vengono i brividi. Se entrasse un non credente nelle nostre chiese – e oggi capita che entrino i non credenti magari per un matrimonio o per un funerale – sarebbero così affascinati dal mio volto da chiedermi di fargli capire che cosa è la preghiera? Liturgie solenni, vesti lussuose, incensi, gesti ieratici ma pallore di volti, volti immobili, rigidi, senza accensioni. Una solennità senza brividi e accensioni, che, a chi guarda dall’esterno, potrebbe, più che legittimamente, far sorgere un dubbio che stiamo fissando il vuoto».

Faccio a me stesso (e a voi) le domande che papa Francesco il 12 marzo 2022 rivolgeva a chi lo ascoltava commentare questa pagina di Luca: «Gesù salì sul monte, dice il Vangelo, “a pregare” (v. 28). Ecco il terzo verbo, pregare. E «mentre pregava – prosegue il testo –, il suo volto cambiò d’aspetto» (v. 29). La trasfigurazione nasce dalla preghiera. Chiediamoci, magari dopo tanti anni di ministero, che cos’è oggi per noi, che cos’è oggi per me, pregare. Forse la forza dell’abitudine e una certa ritualità ci hanno portati a credere che la preghiera non trasformi l’uomo e la storia. Invece pregare è trasformare la realtà. È una missione attiva, un’intercessione continua. Non è distanza dal mondo, ma cambiamento del mondo. Pregare è portare il palpito della cronaca a Dio perché il suo sguardo si spalanchi sulla storia. Cos’è per noi pregare? E ci farà bene oggi domandarci se la preghiera ci immerge in questa trasformazione; se getta una luce nuova sulle persone e trasfigura le situazioni. Perché se la preghiera è viva, “scardina dentro”, ravviva il fuoco della missione, riaccende la gioia, provoca continuamente a lasciarci inquietare dal grido sofferente del mondo. Chiediamoci: come stiamo portando nella preghiera la guerra in corso?».