Di Mons. Corrado Sanguineti (Vescovo di Pavia)
Il Natale sta diventando una festa di cui non si comprendono più la ragione e l’origine: festa dell’inverno, festa dei “buoni sentimenti”, festa della pace, o semplicemente vacanze da passare sulla neve o in località turistiche, magari lontano e al caldo, rito commerciale con spese per regali, pranzi e cene, occasione di ritrovo e d’incontro in famiglia, con parenti anche lontani. In mezzo a questa varietà di motivi e di tratti delle feste natalizie – alcuni dei quali anche belli e positivi, non voglio fare il solito “peana” alla società consumista – che cosa rischia di scomparire? L’essenziale racchiuso nella stessa parola “Natale”! Perché Natale rimanda a una nascita, la nascita di un bambino di nome Gesù, accaduta in una piccola città della Giudea, Betlemme, allora sotto il dominio del re Erode il Grande, vassallo di Roma: una terra di estrema periferia nel grande impero di Cesare Augusto. Natale dunque richiama un fatto che, di per sé, non avrebbe avuto nessuna rilevanza nella grande storia, e invece, per quella nascita facciamo festa e quell’evento ha segnato il modo di contare gli anni nei nostri calendari.
Eppure, con la scusa della società multiculturale e pluralista o di una certa laicità imperante, Natale è una festa senza il Festeggiato nel cuore e nella vita molti e si cerca, in modo patetico, di cancellare perfino il nome della festa. In tanti auguri natalizi, trovate solo l’espressione neutrale “buone feste” o “buone vacanze”, e ormai ci sono calendari pieni di renne, di “Babbo Natale”, di neve e slitte, ma di Gesù, di Maria e di Giuseppe, dei pastori e dei magi, nessuna traccia. Così come nelle recite natalizie, talvolta, non c’è ombra del Natale di Gesù.
Nonostante tutto, il Natale ritorna, c’è una memoria profonda che, come brace sotto la cenere, può ravvivarsi: magari facendo o visitando i presepi, o vedendo qualche film su Gesù o su Maria, ascoltando musiche e canti della tradizione che in mille lingue danno voce all’incanto e allo stupore dei primi testimoni di quella strana notte in cui Gesù venne al mondo, bimbo inerme e fragile, nella povertà di una grotta, accolto da povera gente, da pastori che ancora odoravano di gregge.
Quella nascita ci riguarda tutti, perché porta con sé una speranza, un annuncio di speranza che, in modo nascosto, il cuore dell’uomo attende, oggi come duemila anni fa: quel bambino, divenuto poi un giovane uomo, sarà testimone, con gesti e parole, di un Dio originale, così diverso dalle nostre immagini che lo riducono a un signore onnipotente, deputato ad assicurare una giustizia secondo le nostre misure, e soprattutto quel bambino, divenuto un affascinante e scomodo maestro sulle strade della Galilea e della Giudea, si rivelerà sempre più nel suo volto di Figlio, tutto rivolto al Padre, un Dio così vicino da rendersi compagnia umana alla nostra sete di vita e di bene.
L’Anno Santo, tempo in cui riscoprire la speranza
In questo Natale si apre l’Anno Santo, indetto da Papa Francesco come tempo in cui riscoprire la speranza, la grande speranza che Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, rende possibile e di cui abbiamo bisogno, in questi tempi così drammatici e incerti: una speranza che s’intravede nel volto di uomini e donne, che osano credere, dare credito a questa Presenza dentro la loro vita.
In questi giorni, avvertiamo il contrasto tra la folle violenza delle guerre e di troppi episodi di cronaca e la letizia che si sprigiona dai canti e dalle celebrazioni del Natale cristiano, e in effetti, come ricordano due testi bellissimi proposti nel Volantone di Natale del movimento di Comunione e Liberazione, siamo chiamati a scegliere a chi e a che cosa vogliamo dare spazio e ospitalità: “L’inferno è già qui. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed approfondimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio” (Italo Calvino).
“ ‘Chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno’. È accaduto, questo! Vogliamo riprendere, scostando la nebbia dell’abitudine dal nostro occhio e dal nostro cuore, vogliamo riprendere la grande notizia, il grande annuncio, il grande fatto, il grande avvenimento. ‘Chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno’: il Destino, il Destino nostro, si è reso Presenza. Ma Presenza come padre, madre, fratello, amico, come – mentre stavamo camminando – un compagno improvviso di cammino. Un compagno di cammino: Emmanuele, il Dio con noi! È accaduto questo!” (Luigi Giussani).
Questo è il Natale: riconoscere che nell’inferno e nella tragedia della storia umana, di cui siamo parte, c’è una presenza irriducibile, che abita la vita di uomini e donne, di famiglie e comunità e rende capaci di costruire segni di vita nuova, germogli veri di speranza, e dargli spazio in noi.