Di Don Michele Mosa
Niente avviene per caso. C’è chi pensa, progetta e invia: Dio. C’è l’ambasciatore, l’angelo, l’apostolo: Gabriele. C’è chi riceva il messaggio: Maria, promessa sposa di Giuseppe. E poi c’è la determinazione di tempo e di luogo: al sesto mese (dopo il concepimento di Giovanni Battista) a Nazareth, in Galilea. Dio e gli uomini significa Dio e la storia. E la storia sono persone concrete, luoghi precisi, tempi vissuti. L’avvento è il tempo dell’attesa. È il tempo della gravidanza. È il grembo che si dilata per far posto all’altro/altro. È il tempo – se così si può dire – dell’incompiuto. Perché Dio entra nella storia quando questa è ancora in fieri: non ama, come invece tanti di noi, salire sul carro del vincitore a fine corsa; Dio sale sul treno del piccolo, del povero, dell’ultimo, dello sconosciuto e apre nuovi orizzonti. Trasforma il fallimento in felicità, la sconfitta in danza di gioia. Dio e la storia. Ecco questo è il punto. La mia impressione è che oggi facciamo fatica a cogliere e vivere questa dimensione: da una parte sosteniamo le teorie del post-teismo o del trans-teismo tentando di uscire dalla logica dualistica – cielo/terra, dio/mondo – dall’altra pensiamo più che a un dio creatore a un orologiaio – da inizio al mondo e poi se ne disinteressa. Luca invece ci sta ricordando ancora una volta che Dio è nella storia anche se non è prigioniero della storia. Uomo e Dio: questo è il mistero che custodisce Maria. È il Natale. Non cadiamo ancora una volta nella ripetizione sterile di un dogma (che sa di privilegio e mi fa sentire meschino di fronte a questa ragazza) o all’estetica della purezza (tanto per ricordarmi che sono peccatore, quindi cattivo e sporco). Entriamo nell’annuncio di Gabriele e viviamo la pienezza della gravidanza: incompiuto che genera il mistero di Dio.