Di Don Michele Mosa
Riconoscere una stagione: sembra facile ma se non ci sono più le stagioni come si fa? È iniziato l’autunno ma tutti dicono che sembra primavera. È inverno e si sciolgono i ghiacciai, come d’estate. Ti aspetti che cadano l foglie e invece spuntano nuovi germogli. Non ci sono più le stagioni quindi mi spiace per l’evangelista ma è dura imparare la parabola del fico e riconoscere l’arrivo dell’estate.
Eppure… e già c’è sempre un eppure. E stavolta risale a circa seicento anni prima di Cristo, cioè a quasi tremila anni fa: un germoglio che spunta nel cuore dell’inverno. “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici”. Un germoglio che spunta nel cuore dell’inverno e da un albero morto.
Dicono che io non semino speranza. In realtà credo che la speranza abiti nel cuore del nostro essere cristiani ma non possiamo confonderla con il tentativo di recupero di alcune tradizioni, forse sarebbe dire nostalgia di un passato che non c’è e non torna: sembra riempiano le chiese ma rischiano di essere eventi che durano qualche ora poi tutto svanisce. La speranza – lo dico sottovoce – è nascosta proprio dietro alla foglia di fico: nasconde nudità che tutti conoscono (basta pensare ad Adamo e Eva). La Scrittura non inizia con Abramo o Mosè, inizia con Adamo: è l’umo l’immagine di Dio non la Chiesa o il cristiano.
Umanità è sinonimo di speranza perché rimanda direttamente a Dio Padre e Creatore.
La speranza non è condanna del mondo cattivo o angosciato e sofferto tentativo di convertire l’universo intero. La speranza non è riportare indietro le lancette della storia (e non è che i secoli passati fossero più cristiani di oggi, a meno che non abbiamo nostalgia di onore e potere). La speranza è ritrovare fiducia nell’uomo e nella donna di oggi, riaprire il dialogo con loro senza pre-giudizi (sempre negativi). Speranza è non confondere missione e testimonianza con cristianizzazione della società.
“Il problema – diceva Papa Francesco in Marocco nel 2019 – non è essere poco numerosi, ma essere insignificanti […]. Penso che la preoccupazione sorge quando noi cristiani siamo assillati dal pensiero di poter essere significativi solo se siamo la massa e se occupiamo tutti gli spazi”.
Impariamo dal fico: la fragilità indica fioritura e abbondanza di frutto. Alla nostra Chiesa serve riscoprire l’umanità, riaprire tavoli di incontro con gli uomini e le donne (senza pretendere di portare tutti a Messa). La nostra Chiesa deve tornare a essere domestica e feriale: inseguire la domenica o le feste lascia il tempo che trova.
La Speranza oggi è la locanda di Emmaus e la casa di Betania. La Speranza è qualcosa di veramente nuovo non nostalgia di un ritorno (trionfale).