di Don Michele Mosa
Bartimèo, figlio di Timèo: così lo conoscevano nel villaggio. Ma io che vengo da fuori come lo chiamo? Qual è il suo nome? E Timèo, suo padre, come lo chiamava? È senza nome: dipende in tutto e per tutto da altri. Dal padre come dalla madre. Dalla sua famiglia come dagli amici. Forse anche da un cane. Certamente da un bastone. Prima ancora di dirci che era cieco, Marco si preoccupa di dirci che è stretto da una serie di legami che non nascono da una scelta, che non sono figli dell’amore (…); quei legami sono generati dalla necessità. E la necessità è subito spiegata: era cieco. Permettetemi di volare su un altro ramo. Di cambiare registro. Di lasciare per un attimo il Vangelo e tornare a un autore classico (…) che tutti in qualche modo abbiamo “conosciuto”: Omero. Sì, proprio lui: l’autore dell’Iliade e della più famosa Odissea. Il padre di Achille e di Enea e di Ulisse. Il narratore della guerra di Troia e dei viaggi di Ulisse. Perché Omero? Perchè anche lui era cieco. Come Bartimèo non vedeva il sole ma ne percepiva il calore. Non vede i volti ma riconosceva le voci. Non vedeva l’esterno ma sapeva leggere l’interiorità. Come Bartimèo aveva bisogno di qualcuno che lo guidasse: per l’antico aedo erano le Musa, per Bartimèo sarà Gesù di Nazareth. Cecità che fa vedere più dei dieci decimi. Dipendenza che rende più autonomi di mille forme di autonomia che rendono schiavi. Eppure… eppure tutti noi, io per primo, siamo sempre in tensione per dichiarare la nostra autonomia: nelle idee, nelle scelte, nelle decisioni. Anche la volontà di Dio spesso è solo un nome, poco più di un pensiero teologico; in realtà noi facciamo di tutto – e spesso preghiamo proprio per questo – per piegare Dio alla nostra volontà e ai nostri progetti.
Penso a Jorge Luis Borges, cieco a 55 anni (morirà a 87), che così parlava della sua cecità nella Poesia dei doni: “ ‘Nessuno umili a lagrima o a rimbrotto / la confessione della maestria / di Dio, che con magnifica ironia / mi dette insieme i volumi e la notte’. Questi due doni in contraddizione tra loro: i tanti libri e la notte, l’impossibilità di leggerli”. E di scriverli? Penso a Beethoven che compone la Nona sinfonia avvolto dal silenzio della sordità e dal buio della cecità. Menomazione o dono per uomini e donne speciali? Forse dovremmo chiedere a Bartimèo di intercedere per noi, di farci capire che la nostra cecità non è un handicap ma un dono. La perfezione non esiste. Esiste solo la relazione: l’unica cosa che dà senso alla nostra vita.