Carissimi fratelli e sorelle,
Ogni anno, in questo primo giorno della Quaresima, ascoltiamo le parole accorate del profeta Gioèle rivolte a noi: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti» (Gl 2,12-13a).
I quaranta giorni che ci porteranno a celebrare la Pasqua del Signore ci sono donati per ritornare a Dio, per orientare ancora una volta il nostro cammino a lui, per convertirci al Dio vivente: non a un “dio” qualsiasi, frutto del nostro pensiero, mistero senza volto che percepiamo in modo incerto e confuso, vaga trascendenza che infonde benessere e pace. Noi torniamo e ci convertiamo, volgiamo lo sguardo e il cuore a Dio che per primo si è volto a noi, ci è venuto incontro e sempre di nuovo ci viene incontro, entra in relazione con noi, fa alleanza con noi: è il Dio che si è coinvolto nella storia di un popolo, Israele, attraverso uomini da lui scelti, come i profeti, è il Dio «misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore» (Gl 2,13b), è il Dio narrato e rivelato nella parola delle Sante Scritture, è il Dio che in Gesù Cristo, suo Figlio, ha assunto un volto umano, il volto di una misericordia impensata e inimmaginabile.
Ecco, carissimi amici, la Quaresima è offerta alla nostra libertà come tempo favorevole per tornare al Padre, per ritrovarci figli amati e perdonati: perché nel passare dei giorni il nostro cuore si confonde e si smarrisce, quasi in modo impercettibile o a volte in modo evidente noi ci allontaniamo da Dio, viviamo nella dimenticanza del Padre, come se non ci fosse. C’è una strana debolezza che ci porta a decadere, a non riconoscere più i segni del Signore presente, a non ascoltare la sua voce, ci ritroviamo con un respiro corto, dominati dalla nostra immediata reattività, talvolta meschini e piccoli nell’anima, e tocchiamo con mano la miseria del nostro peccato, i facili compromessi, mentre i desideri più grandi e più veri del cuore sono come tacitati e ridotti.
Davanti a Dio, appassionato amante della nostra vita, che si fa presente in Cristo, nel suo Vangelo e nei suoi testimoni, il cuore si risveglia, vive il dolore fecondo di una nuova nascita: «Laceratevi il cuore e non le vesti». Nel mondo biblico il gesto di lacerarsi le vesti era un’espressione di dolore e di lutto, ma anche di pentimento e di rottura con il peccato: ora, agli occhi del profeta, occorre scendere più in profondità, lacerare il cuore, lasciarci ferire dal dolore del peccato e soprattutto dall’amore misericordioso di Colui che ci rialza, ci perdona, ci accoglie. Perché gli stiamo a cuore, ciascuno e ciascuna di noi, con il proprio volto e la propria storia.
Sì, carissimi fratelli e sorelle, il vero dolore per il male, nostro e del mondo – che si manifesta in forme terribili nei nostri giorni, nella violenza disumana delle guerre, a cui non possiamo e non dobbiamo rassegnarci, in fatti di cronaca che ci lasciano sgomenti, nelle abissali ingiustizie che gridano al cospetto di Dio – nasce e diventa fecondo sotto lo sguardo del Padre, nella scoperta di un amore che ci precede, più grande di ogni peccato e di ogni orrore, più potente di ogni male e di ogni morte. È l’amore che si lascerà inchiodare per noi sulla croce e che attraverserà il buio della morte!
Perciò la Quaresima è il tempo per guardare Cristo, per affondare lo sguardo su Gesù, per ascoltare lui, l’unico Maestro e Signore: egli, come accade nel Vangelo di questa sera, ci riporta al Padre, c’invita a vivere sotto lo sguardo del Padre, ci rende familiare il Padre.
Gesù invita a vivere le opere della pietà giudaica, conosciute e praticate anche in altre esperienze religiose, nella loro verità, non in modo formale o peggio ipocrita, ma come espressione di un rapporto personale e vissuto con il Padre, il Padre suo e Padre nostro.
Elemosina, preghiera e digiuno sono la strada della nostra conversione, sono i passi di un cammino che non è limitato ai giorni della Quaresima e che tuttavia, proprio in queste settimane, può essere ripreso con una rinnovata disponibilità, con il desiderio di ospitare Cristo e di seguire lui, di crescere con lui nella gioia di essere figli e figlie del Padre.
San Giovanni Paolo II così descriveva il senso e lo scopo del percorso che stasera iniziamo, con il segno eloquente e povero delle ceneri benedette e imposte sul capo: «La Quaresima assegna come compito a ciascuno di noi, in modo particolare, la nostra stessa umanità. Ci raccomanda di viverla, ci ordina di realizzarla in una concentrazione maggiore. E questa la acquistiamo quando cerchiamo in modo più consapevole di “essere noi stessi davanti a Dio”. Sulla base di questa concentrazione la pratica della Quaresima ci raccomanda di orientarci secondo tre direzioni fondamentali» (Omelia alla Messa del Mercoledì delle Ceneri, 7 marzo 1984), espresse dalle tre opere della Quaresima: la direzione verso di sé coltivata nel digiuno, come segno di libertà interiore, la direzione verso Dio, manifestata nella preghiera, la direzione verso gli altri, nella condivisione dell’elemosina.
La preghiera, il digiuno e l’elemosina, vissuta con opere e gesti di carità sono come uno spazio nuovo che creiamo all’incontro con Cristo: ci apriamo a Dio nella preghiera e nell’ascolto della sua Parola, ci spogliamo di noi stessi e delle cose, ci rendiamo più disponibili ai fratelli e alle sorelle che hanno bisogno di aiuto e di vicinanza, per essere riempiti di Lui.
Sono tre espressioni di vita e di fede, che si nutrono e si sostengono vicendevolmente e solo insieme portano pieno frutto, come hanno sempre insegnato i maestri di spirito e i santi.
Nella preghiera, personale e comunitaria, ci riconosciamo poveri amati da Dio, portiamo a lui il grido della nostra domanda, mendicando la sua salvezza per noi e per il mondo; ascoltando la Parola di Dio, nella liturgia e nella lettura personale, prestiamo orecchio alla sua voce, entriamo in dialogo con il Padre «che è nel segreto». Diamo tempo per questo incontro e ascolto e, per quanto possiamo, partecipiamo alla messa quotidiana, alla Via Crucis ogni venerdì, facciamo nostre le parole dei salmi che la liturgia ci fa pregare.
Nel digiuno, praticato anche con forme libere di rinuncia, ci svuotiamo per ospitare Cristo, per riscoprire che abbiamo fame di un altro pane, che solo lui ci dà: il pane della Parola, il pane dell’Eucaristia. Ci priviamo di qualcosa, per condividere la vita di chi è più povero, non solo di beni, ma anche di relazioni, di affetto, di cura.
Così nell’elemosina e nelle opere di carità, allarghiamo il cuore, impariamo che i nostri beni ci sono dati per il regno di Dio, perché il mondo possa conoscere Cristo.
Iniziamo il cammino della Quaresima, non perdiamo e non sciupiamo la grazia di questi giorni: «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2Cor 6,2). Amen
Mons. Corrado Sanguineti (Vescovo di Pavia)