È possibile leggere questa parabola senza rimanere intrappolati nella logica “lombardo-milanese”? Cioè è possibile sfuggire da una lettura efficientista, utilitarista – forse capitalista – delle parole di Gesù? Talenti da far fruttificare significa solo ed esclusivamente calcolo del prodotto finale? A prima vista sembrerebbe di sì e lo dice bene il terzo servo: «mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso». Immaginate quest’uomo, anzi questo servo (la paura che da uomini ci rende servi, riflessione troppo lunga da svolgere qui): trema il corpo e la voce, parla quasi mangiandosi le parole, gli occhi sono spenti, il cuore batte che sembra uscire dal petto: è prigioniero della paura. Sentite sullo sfondo il passo che si avvicina, sentite la paura crescere in voi? Sentite Adamo: «Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» (Gen 3, 8). Sorprendenti assonanze. «Ho avuto paura e mi sono nascosto». «Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra». La paura che ci fa nascondere, la paura che fa nascondere i talenti! La paura fa nascondere sottoterra la nostra intelligenza. Quasi fosse attentato all’umiltà o arroganza dello spirito il pensare con la propria testa. Don Primo Mazzolari ricordava agli uomini della sua parrocchia: «Quando entrate in chiesa vi togliete il cappello, non la testa». Forzo probabilmente le cose ma vorrei richiamare a tutti noi il bisogno di pensare, l’esigenza quasi l’obbligo di non nascondersi dietro la siepe o sottoterra, cioè di non lasciarci schiacciare sull’opinione pubblica o sul politicamente corretto: la religione non ci chiede di castrare la nostra ragione, ci chiede, almeno credo, di mettere a frutto la nostra intelligenza, di fare nascere cultura dal vangelo, di dialogare con le culture. Non nascondere i talenti, non aver paura di pensare, non rimpiangere i frutti di ieri perché si vive del frutto nuovo non di quello conservato (e marcito, inevitabilmente). Radici antiche e frutti nuovi. Dio non è un uomo duro che miete dove non ha seminato, è un padre che si fida dei suoi figli e affida a loro la sua vigna. Di struzzi, nella Chiesa e nel mondo, ce ne sono tanti. Forse troppi.
Don Michele Mosa