Scavi archeologici ai giardini del Collegio Borromeo di Pavia: a settembre una nuova campagna

Proseguono i lavori di ricerca agli Horti, emergono oggetti e la storia curiosa di una "Pavia marinara"

 

di Simona Rapparelli

 

 

In fondo lo abbiamo sempre saputo che Pavia è una città che con l’acqua ha sempre avuto un legame speciale. Ed a confermare questa tesi (che nelle vene dei pavesi circola da millenni) sono anche gli scavi archeologici che vengono portati avanti nei giardini del Collegio Borromeo, per essere precisi nella zona degli Horti. Le operazioni erano state avviate nel 2019 e proseguiranno a settembre grazie alla campagna numero 2 che si svolgerà dal 4 al 15 e dal 18 al 29 settembre; intanto, è stata avviata la call di partecipazione per gli studenti di archeologia dell’Università che potranno partecipare agli scavi (con vitto e alloggio gratuiti al Borromeo) compilando un form online sul sito del Collegio); i partecipanti saranno coinvolti anche nelle attività di documentazione e post-scavo  Gli studenti lavoreranno sul sito della chiesa di San Marco in Monte Bertone, ubicato all’interno degli Horti dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia: la chiesa, fatta edificare nel 1174, è oggetto di interesse e ricerche da cinque anni: a seguito di una prima serie di ricognizioni e di indagini geofisiche, lo scavo ha finora riportato alla luce le murature perimetrali dell’edificio e diversi elementi della sua strutturazione interna, il tutto ben visibile visitando il parco degli Horti.

 

Il legame con il fiume e il porto di Pavia

 

Ma in tutto questo, cosa c’entra l’acqua? “Le indagini stratigrafiche hanno consentito il rinvenimento di reperti seppelliti vicino alle zone tombali – ha spiegato il rettore don Alberto Lolli -. Questo era un luogo importante, poco distante dalla darsena, punto che salutava chi partiva e chi arrivava nella nostra città”. Insomma, la chiesa di San Marco in Monte Bertone era luogo di culto per i tanti marinai che, con le loro navi, raggiungevano Pavia, città che allora ospitava un attivo porto fluviale. Lo raccontano i documenti da cui risulta anche che nei giardini del Borromeo si ergevano tre edifici religiosi, ora scomparsi: San Giovanni in Borgo, costruito agli inizi del VI secolo, in epoca longobarda, soppresso nel 1805, la chiesa di Sant’Antonio da Padova, gestita dai frati cappuccini nel Cinquecento, distrutta nel 1787, e il convento di San Marco realizzato nel 1174. Per immaginare dal punto di vista urbanistico come doveva essere quella zona, è necessario visualizzare una sorta di ansa naturale in cui trovavano riparo e attracco le navi cariche di merci da depositare in città; Pavia dipendeva dal suo fiume, il Ticino era come una strada percorribile e navigabile, utilizzata per i più diversi trasporti. Una consuetudine che iniziò a cambiare dal rinascimento in poi. Intanto, nei mesi scorsi dagli scavi sono emersi monete, rosari, medaglie votive, piccoli oggetti mortuari, segno che l’area attorno alla chiesa (ed alle chiese) era cimiteriale.

 

Area cimiteriale

 

Oggi, visitando gli Horti (area di 35mila metri quadrati che il Collegio ha recentemente riqualificato e aperto al pubblico) è possibile vedere, oltre alla zona absidale portata alla luce all’inizio dei lavori, anche alcune tracce del livello pavimentale originario ed i muri perimetrali, i pilastri interni di divisione delle navate, del materiale ceramico e l’ingresso dove sono anche state recuperate tre strutture che, dai primi rilievi, risultano essere tombe a camera. Tombe con muri perimetrali e coperture a botte, utilizzate tra il ’500 e il ’600 di cui si attende di scoprire di più. “Una scoperta significativa – sottolinea Daniele Ferraiuolo, docente dell’università Suor Orsola Benincasa di Napoli e direttore degli scavi –. Saranno necessari ulteriori approfondimenti per capire l’epoca e indagare le tombe all’interno, cercando di accertare l’identità delle persone che vi furono tumulate, probabilmente personaggi di importanza storica”. Luigi Schiavi, docente di storia dell’arte medievale all’università di Pavia, è il supervisore scientifico dell’operazione insieme a Federico Marazzi, professore di archeologia medioevale al Collegio Borromeo.