Tutta la vita degli uomini, la mia come la tua, quella del contadino o dell’idraulico come quella del Papa o del primo ministro, si snoda sul binario della storia e vive la tensione, inevitabile, fra il passato e il futuro. A volte il contrasto è così forte che rischiamo perfino di dimenticare il presente. Rischiamo cioè di oscillare fra il lamento e il sogno. Sospesi. Giovanni ci sta invece dicendo di fare nostro il presente, di accoglierlo in tutta la sua bellezza e complessità senza farci condizionare dalla nostalgia dell’età dell’oro, senza cadere nella trappola tesa «da certi profeti di sventura che annunciano eventi sempre infausti» e dai quali Giovanni XXIII, aprendo il Concilio Vaticano II, invitava a prendere le distanze. Papa Francesco, pensando al cammino ecumenico della Chiesa, così si esprimeva nel 2017: «Con Paolo potremo dire: “Le cose vecchie sono passate” (2 Cor 5,17). Guardare indietro è d’aiuto e quanto mai necessario per purificare la memoria, ma fissarsi sul passato, attardandosi a ricordare i torti subiti e fatti e giudicando con parametri solo umani, può paralizzare e impedire di vivere il presente. La Parola di Dio ci incoraggia a trarre forza dalla memoria, a ricordare il bene ricevuto dal Signore; ma ci chiede anche di lasciarci alle spalle il passato per seguire Gesù nell’oggi e vivere una vita nuova in Lui. Permettiamo a Colui che fa nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5) di orientarci a un avvenire nuovo, aperto alla speranza che non delude, un avvenire in cui le divisioni si potranno superare e i credenti, rinnovati nell’amore, saranno pienamente e visibilmente uniti». È – mi sembra – l’eterna questione delle radici. Irrinunciabili, pena la morte della pianta. Quello che però tu chiedi alla pianta sono i frutti, buoni e gustosi. Curiamo le radici con amore e attenzione; non dimentichiamoci però che i frutti non sono gli stessi dell’anno precedente. Guardare ai frutti, cioè al domani ci aiuta a occuparci anche delle radici. Ci aiuta a vivere il presente con le dovute attenzioni e preoccupazioni.A vivere la tensione consapevoli che il risultato non dipende solo da me. E soprattutto che se quest’anno, per qualsiasi motivo, non mangerai i frutti ciò non significa che non hai lavorato bene o che l’albero vada tagliato. Il rischio è parte integrante del mestiere.
Don Michele Mosa