«Cristiani pagani», li ha definiti Papa Francesco. Cristiani di nome, di anagrafe. Cristiani che hanno ricevuto il battesimo – un registro lo testimonia – ma che poi non sanno più dove quel battesimo è finito. Cristiani che si comportano da pagani e non perché – almeno io credo – sono schiavi di chissà quale vizio e commettono peccati di particolare gravità: semplicemente, sì semplicemente, perché accade spesso anche a me (forse a tutti noi), preferiamo vivere secondo il buon senso o il politicamente corretto. O impostiamo il nostro quotidiano in funzione del quieto vivere o del “non ho fatto nulla di male”. Eccoli i pagani di oggi non combattono più la croce, la lasciano dov’è. La lasciano a chi la vuole. Ma noi siamo cristiani, vero? Non possiamo perciò fare a meno della croce. Ma non possiamo solo portarla al collo. Non possiamo cioè esibirla, non possiamo usarla come arma ma non possiamo neppure farla diventare un soprammobile o una medaglia. Quando però croce è solo sinonimo di sofferenza o evoca sciagure insopportabili, quando accade questo allora sono nemico, convintamente nemico, della croce. Perché quella croce ha il sapore del sangue e della morte non dell’amore e della vita donata. Nemico della croce di Cristo lo sono quando mi adagio nella mediocrità, quando non sento più lo scandalo del lasciarsi vivere. Quando perdo lo stupore negli occhi proprio dei bambini e mi accomodo sul divano delle mie abitudini e delle mie sicurezze. Sono nemico della croce di Cristo quando comincio a ritenere la vita come un diritto e non come un dono ricevuto e da regalare. Sono nemico della croce di Cristo quando non riesco più a legare l’orizzontale con il verticale, la terra con il cielo. E allora dico Padre nostro ma mi penso figlio unico. Recita… ipocrita! Sia davvero un cammino di conversione la Quaresima.
Don Michele Mosa